ANNALES AB EXCESSU DIVI AUGUSTI

I

X. Dicebatur contra: pietatem erga parentem et tempora rei publicae obtentui sumpta: ceterum cupidine dominandi concitos per largitionem ueteranos, paratum ab adulescente priuato exercitum, corruptas consulis legiones, simulatam Pompeianarum gratiam partium; mox ubi decreto patrum fascis et ius praetoris inuaserit, caesis Hirtio et Pansa, siue hostis illos, seu Pansam uenenum uulneri adfusum, sui milites Hirtium et machinator doli Caesar abstulerat, utriusque copias occupauisse; extortum inuito senatu consulatum, armaque quae in Antonium acceperit contra rem publicam uersa; proscriptionem ciuium, diuisiones agrorum ne ipsis quidem qui fecere laudatas. Sane Cassii et Brutorum exitus paternis inimicitiis datos, quamquam fas sit priuata odia publicis utilitatibus remittere: sed Pompeium imagine pacis, sed Lepidum specie amicitiae deceptos; post Antonium, Tarentino Brundisinoque foedere et nuptiis sororis inlectum, subdolae adfinitatis poenas morte exsoluisse. Pacem sine dubio post haec, uerum cruentam: Lollianas Varianasque cladis, interfectos Romae Varrones, Egnatios, Iullos. Nec domesticis abstinebatur: abducta Neroni uxor et consulti per ludibrium pontifices an concepto necdum edito partu rite nuberet; +que tedii et+ Vedii Pollionis luxus; postremo Liuia grauis in rem publicam mater, grauis domui Caesarum nouerca. Nihil deorum honoribus relictum cum se templis et effigie numinum per flamines et sacerdotes coli uellet. Ne Tiberium quidem caritate aut rei publicae cura successorem adscitum, sed quoniam adrogantiam saeuitiamque eius introspexerit, comparatione deterrima sibi gloriam quaesiuisse. Etenim Augustus paucis ante annis, cum Tiberio tribuniciam potestatem a patribus rursum postularet, quamquam honora oratione, quaedam de habitu cultuque et institutis eius iecerat quae uelut excusando exprobraret. Ceterum sepultura more perfecta templum et caelestes religiones decemuntur.

X. Si rispondeva obiettando che l'amore verso il padre e le condizioni in cui versava lo stato erano dei pretesti e che per cupidigia di dominio Augusto, per mezzo di donativi, aveva eccitato a sommossa i veterani, e che da giovane, essendo ancora privato cittadino, si era preparato un esercito, aveva corrotto le legioni del console ed aveva finto di favorire il partito di Pompeo. In seguito, appena messe entrambe le mani per decreto del senato sui fasci e sulla carica di pretore, era venuto in possesso delle milizie di Irzio e Pansa, essendo questi morti o per mano dei nemici o perchè a Panza fu avvelenata la ferita e Irzio fu tolto di mezzo dai suoi soldati e dallo stesso Ottaviano che aveva organizzato il tradimento. Ebbe allora con la forza il consolato contro il volere del Senato e quelle armi che aveva ricevuto contro Antonio volse contro lo Stato. Seguirono le proscrizioni dei cittadini e le distribuzioni dei campi, neppure approvate da quelli che le fecero. La morte di Bruto e di Cassio si poteva giustificare attribuendola all'odio contro gli uccisori del padre, per quanto sia doveroso sacrificare le inimicizie private al pubblico bene; Pompeo, invece, fu tratto in inganno con un'apparenza di pace e Lepido con un'apparenza di amicizia, Antonio poi allettato dai patti di Taranto e di Brindisi e dalle nozze della sorella, scontò con la morte una subdola parentela. Dopo queste vicende venne senza dubbio la pace, ma a prezzo di sangue: vi furono le disfatte di Lollio e di Varo ed in Roma vennero uccisi uomini come Varrone, Egnazio, Jullo. Le voci di condanna non risparmiavano neppure la vita privata di Augusto; si ricordava che aveva portato via la moglie a Nerone, e che aveva per irrisione interrogato i pontefici se la potesse sposare in leggittime nozze benche incinta; e, con le dissolutezze di P. Tedio e di Vedio Pollione, si ricordava alla fine Livia, madre nefasta allo stato, e matrigna nefasta alla casa dei Cesari. Nessun onore era stato lasciato all'onore degli dei, perchè Augusto aveva voluto essere onorato con templi e con statue divine da flamini e da sacerdoti. Aggiungevano che non aveva neppura nominato come suo successore Tiberio per affetto, o perchè si preoccupasse dello Stato, ma perchè, avendo scorto in lui prepotenza e crudeltà, ricercava motivo di gloria per sè, nel confronto con un uomo così spregevole. Infatti Augusto, pochi anni prima, nel chiedere di nuovo al Senato la carica di tribuno per Tiberio, per quanto facesse un discorso laudativo, aveva gettato incidentalmente alcune osservazioni intorno al contegno, al modo di vestirsi, alle abitudini di lui, cose che egli, con l' aria di volerle scusare, deplorava. Nondimeno, finita, secondo il rito, la cerimonia della sepoltura, furono decretati ad Augusto un tempio ed onori divini.