GEORGICON

I, vv.24-42; II, vv.136-176

tuque adeo, quem mox quae sint habitura deorum concilia, incertum est…

da facilem cursum atque audacibus adnue coeptis, ignarosque viae mecum miseratus agrestes ingredere, et votisiam nunc adsuesce vocari.

Sed neque Medorum siluae, ditissima terra,
nec pulcher Ganges atque auro turbidus Hermus
laudibus Italiae certent, non Bactra neque Indi
totaque turiferis Panchaia pinguis harenis.
haec loca non tauri spirantes naribus ignem
inuertere satis immanis dentibus hydri,
nec galeis densisque uirum seges horruit hastis;
sed grauidae fruges et Bacchi Massicus umor
impleuere; tenent oleae armentaque laeta.
hinc bellator equus campo sese arduus infert,
hinc albi, Clitumne, greges et maxima taurus
uictima, saepe tuo perfusi flumine sacro,
Romanos ad templa deum duxere triumphos.
hic uer adsiduum atque alienis mensibus aestas:
bis grauidae pecudes, bis pomis utilis arbos.
at rabidae tigres absunt et saeua leonum
semina, nec miseros fallunt aconita legentis,
nec rapit immensos orbis per humum neque tanto
squameus in spiram tractu se colligit anguis.
adde tot egregias urbes operumque laborem,
tot congesta manu praeruptis oppida saxis
fluminaque antiquos subterlabentia muros.
an mare quod supra memorem, quodque adluit infra?
anne lacus tantos? te, Lari maxime, teque,
fluctibus et fremitu adsurgens Benace marino?
an memorem portus Lucrinoque addita claustra
atque indignatum magnis stridoribus aequor,
Iulia qua ponto longe sonat unda refuso
Tyrrhenusque fretis immittitur aestus Auernis?
haec eadem argenti riuos aerisque metalla
ostendit uenis atque auro plurima fluxit.
haec genus acre uirum, Marsos pubemque Sabellam
assuetumque malo Ligurem Volscosque uerutos
extulit, haec Decios Marios magnosque Camillos,
Scipiadas duros bello et te, maxime Caesar,
qui nunc extremis Asiae iam uictor in oris
imbellem auertis Romanis arcibus Indum.

Salue, magna parens frugum, Saturnia tellus,
magna uirum: tibi res antiquae laudis et artis
ingredior sanctos ausus recludere fontis,
Ascraeumque cano Romana per oppida carmen.

e tu specialmente, che è incerto quali categorie di divinità presto ti avranno…

concedi felice rotta e acconsenti all'audace impresa, compatisci con me i contadini ignari del cammino, fatti avanti e abituati a essere invocato fin d'ora nelle preghiere

Ma né le foreste dei Medi, terra ricchissima, neppure il bellissimo Gange e l'Ermo torbido d'oro potrebbero gareggiare con i pregi dell'Italia, nè Bactra (Afganisthan) né l'India e tutta l'isola Pancaia ricca di sabbie che producono incenso. Queste nostre terre, non le hanno arate tori spiranti fuoco dalle narici, essendovi poi seminati i denti di un drago immane, né una massa di uomini si è rizzata irta di elmi e di fitte aste; ma le hanno ricoperte messi gravide e il succo massico di Bacco e le occupano uliveti e lieti armenti. Da qui il cavallo da guerra va in campo spavaldo a testa alta, qui o Clitunno, le greggi e il toro, la vittima più grande, bagnati spesso nel tuo fiume sacro, hanno guidato i trionfi romani fino ai templi degli dei. Qui c'è una perpetua primavera, e l'estate durante gli altri mesi; le bestie sono due volte gravide, due volte gli alberi sono adatti per i frutti. Mancano tigri feroci e stirpi di leoni feroci, né le piante velenose ingannano i miseri raccoglitori, né uno squamoso serpente trascina le sue immense volute attraverso la terra né si stringe in una spira dalla contrazione così ampia. Aggiungi a tutto le eccellenti città e il lavoro e la fatica, tutte le città edificate dalla mano dell'uomo con sassi squadrati (costruite con le mani su dirupi scoscesi) e fiumi che scorrono sotto le mura antiche. Dovrei forse ricordare il mare che bagna di sopra e quello che bagna di sotto? Nessun lago è tanto grande? O te grandissimo Lario, e te, o Benaco, che ti gonfi con le ondate e il rombo del mare? Dovrei forse ricordare sia gli argini aggiunti al lago Lucrino, sia il mare sdegnato con grande fragore, dove l'onda di porto Giulio risuona a lungo per il riflusso delle acque marine e l'agitata corrente del Tirreno è immessa nelle strettoie dell'Averno? L'Italia ha mostrato filoni e miniere di argento e fluì abbondantissima d'oro nelle sue vene. Questa generò una stirpe aspra di uomini, i Marsi e i giovani Sabelli, e i Liguri resistenti al male e i Volsci armati di giavellotti; questa generò anche i Deci (uomin come Marco e Camillo), i Mari e i grandi Camilli e i restanti Scipioni durante la guerra, e te o grandissimo, già vincitore in Oriente, tieni lontano l'imbelle Indo dalle rocche romane [tu allontani gli Indiani dopo averli resi imbelli]. Salve o terra di Saturno, grande madre di messi e di eroi: per te mi accingo a rivelare i segreti della tua antica arte gloriosa, osando schiudere le sacre sorgenti (della poesia Georgica), e per le rocche romane canto un carme ascreo.