Donne che lavorano

Il perdurare delle discriminazioni

Già Craxi, al tempo della sua presidenza aveva istituito la Comitato Nazionale per la parità la quale, da una parte ha prodotto una grande quantità di studi, iniziative e documenti sul tema della discriminazione delle donne, dall’altra invece l’esperimento dell’istituzione del Comitato per le Pari Opportunità, avviato nelle grandi aziende, sembra non aver dato i risultati sperati, in quanto l’introduzione di vantaggi giuridici e fiscali per compensare gli "svantaggi" sociali ha prodotto sin dall’inizio polemiche da parte delle femministe. Alcune li giudicano in modo positivo come un risarcimento dello stato di emarginazione in cui si trova la donna; altre, invece, pensano che sia lo "zuccherino" per perpetuare la discriminazione.

In ultimo è stata istituita una Commissione per vigilare sulla parità retributiva tra uomini e donne, sancita dalla Legge 903. Ma l’assoluta parità dei sessi è riconosciuta dalla Costituzione italiana (art.37); quindi, il riaffermare ancora questo principio, sta a significare che le violazioni sono ancora abitudini.

Per assicurare la parità lavorativa uomo-donna, occorre una radicale trasformazione del mondo produttivo, tale da modificare l’organizzazione del lavoro in rapporto alle qualità e alle esigenze dei lavoratori. Secondo i più recenti dati ISTAT, infatti, si rileva che gran parte delle donne che lavorano non intendono rinunciare al ruolo di moglie e madre, e quasi la metà di queste svolge anche un lavoro extra-domestico. Perciò, ci si sarebbe aspettato un mutamento dell’organizzazione del lavoro in funzione delle diverse esigenze delle lavoratrici. Ma ciò non è avvenuto, in quanto permane ancora il principio della divisione dei ruoli.

Se ne deduce che la conquista del lavoro extra-domestico più che una liberazione dal tradizionale stato di "mutilazione" civile rappresenta per le donne il "classico" salto dalla padella alla brace.

La foto è tratta dall'Osservatorio per l'imprenditorialità femminile.