ANNALES AB EXCESSU DIVI AUGUSTI L. I |
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VII. At Romae ruere in seruitium consules, patres, eques. Quanto quis inlustrior, tanto magis falsi ac festinantes, uultuque composito ne laeti excessu principis neu tristiores primordio, lacrimas gaudium, questus adulationem miscebant. Sex. Pompeius et Sex. Appuleius consules primi in uerba Tiberii Caesaris iurauere, aputque eos Seius Strabo et C. Turranius, ille praetoriarum cohortium praefectus, hic annonae; mox senatus milesque et populus. Nam Tiberius cuncta per consules incipiebat tamquam uetere re publica et ambiguus imperandi: ne edictum quidem, quo patres in curiam uocabat, nisi tribuniciae potestatis praescriptione posuit sub Augusto acceptae. Verba edicti fuere pauca et sensu permodesto: de honoribus parentis consulturum, neque abscedere a corpore idque unum ex publicis muneribus usurpare. Sed defuncto Augusto signum praetoriis cohortibus ut imperator dederat; excubiae, arma, cetera aulae; miles in forum, miles in curiam comitabatur. Litteras ad exercitus tamquam adepto principatu misit, nusquam cunctabundus nisi cum in senatu loqueretur. Causa praecipua ex formidine ne Germanicus, in cuius manu tot legiones, immensa sociorum auxilia, mirus apud populum fauor, habere imperium quam exspectare mallet. Dabat et famae ut uocatus electusque potius a re publica uideretur quam per uxorium ambitum et senili adoptione inrepsisse. Postea cognitum est ad introspiciendas etiam procerum uoluntates inductam dubitationem: nam uerba uultus in crimen detorquens recondebat. |
VII. In Roma, frattanto, si precipitavano a servire i consoli, senatori, cavalieri. Tanto più ipocriti e solleciti, quanto più erano di classe sociale elevata; con atteggiamento studiato per non apparire lieti per la morte di Augusto, né troppo tristi per il nuovo regno, mescolavano le lacrime alla gioia e i gemiti alle parole dell'adulazione. I consoli Sesto Pompeo e Sesto Appuleio giurarono per i primi fedeltà a Tiberio e dopo di loro Seio Strabone e C.Turranio, quello perfetto delle coorti pretorie, questo dell'annona: subito dopo fecero lo stesso giuramento il Senato, l'esercito e il popolo. Tiberio, pertanto, lasciava ai consoli ogni iniziativa, come se vi fosse l'antica Repubblica ed egli fosse poco pratico di governare; persino l'editto con quale convocava i Senatori nella Curia, emanò in nome dell'autorità che gli veniva dalla carica di tribuno, che Augusto gli aveva conferito. Le parole dell'editto furono poche e di contenuto moderato: egli si sarebbe consultato intorno alle onoranze da tributarsi al padre, ne si sarebbe allontanato dalla salma, e soltanto questa funzione spettanti allo Stato egli avrebbe compiuto. Tuttavia, morto Augusto, Tiberio, come "imperator" , aveva dato la parola d'ordine alle coorti pretorie ; disponeva di sentinelle, di armati e di ogni pompa di corte; soldati lo scortavano nel foro, e nella curia. Inviò messaggi agli eserciti come già avesse conquistato il potere, in nessuna occasione appariva esitante se non quando dovesse parlare in Senato. La principale ragione di ciò veniva dalla paura che Germanico, nelle cui mani stavano tante legioni ed un immenso numero di milizie ausiliarie, alleate e godeva di grandissimo favore presso il popolo, preferisse prendere subito l'impero, invece di attenderlo. Tiberio dava anche peso alla pubblica opinione, perché preferiva sembrare di essere stato prescelto e chiamato dal popolo, piuttosto che si pensasse che egli era salito al potere di soppiatto, in virtù degli intrighi di una moglie e dell'adozione fatta da un vecchio. Si seppe poi che il contegno dubbioso ed incerto era stato adottato per scrutare i sentimenti dei principali cittadini, poiché egli fissava bene nella sua mente parole e volti, interpretandoli in modo sinistro. |
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