CASTELVETRANO - I MULINI


Conoscere, elevare ad oggetto significante, i materiali della propria terra non è cosa facile ed immediata.

La nostra isola, infatti, con i suoi vecchi borghi, le case, i boschi, le stesse forme dei campi, offre preziose testimonianze di una storia che deve essere ancora scritta.

L'area del territorio di Castelvetrano, benché ristretta territorialmente, si segnala per la presenza di grosse monumentalità rurali, tipiche della società agro-pastorale della nostra isola.

 

 

La parte nord est di questo territorio, collinare, confinante col territorio di Partanna, è formata da un vasto lembo tabulare di breccia conchigliare pliocenica (tufo calcareo), sotto la quale affiora, nei tagli più profondi dei fiumi Modione e Belice, quella delle argille azzurre.

Quest'area è bagnata da due fiumi, Delia e Modione; quest'ultimo nasce presso le alture di Santa Ninfa e, dopo un percorso di 32 chilometri, sfocia ad ovest dell'Acropoli di Selinunte. A carattere torrentizio, le acque dei due fiumi servivano fino agli anni 50 ad alimentare per mezzo di canali alcuni mulini che si trovano lungo il loro corso.

La campagna, attraversata da questi due fiumi, è coltivata ad alberi da frutta (agrumi), a mandorleti, a ortaggi (pomodori), coltivazioni che si alternano in un territorio che è soprattutto terra di oliveti, di vigneti e in minore misura di frumento.

Le varietà coltivate appartengono ai due tipi che vanno in commercio, grano duro e tenero.

Il frumento raccolto in questo territorio ma proveniente anche da un hinterland più ampio veniva, fino alla metà di questo secolo, portato ai "mulini ad acqua".

 

 

 

Proprio sulle sponde del Modione si scorgono un po’ nascosti dalla vegetazione diversi mulini: il Ferrigno ne aveva individuati 14 (Staglio, Terzi, Guibri, San Giovanni, Messerandrea, San Nicola, Mulino nuovo, Mulino vecchio, Paratore, La Rocca, Garofalo, Garibaldi, Mangogna, Mezzo). Oggi ci paiono significativi in quanto ancora visitabili, il Mulino Guirbi, Paratore, Errante e il Mulino vecchio.

I mulini, ancora in funzione fino alla metà di questo secolo, utilizzano una tecnica molitoria che non ha subito mutamenti sostanziali dal periodo arabo (epoca nella quale raggiunse la perfezione tecnica).

Nel nostro territorio i mulini sono disposti lungo il corso del fiume; non esistono infatti i cosiddetti "mulini natanti" (diffusi in quei territori dove scorrono fiumi con notevole portata d’acqua, profondità e corrente tali da permettere l’installazione del complesso macinante su barconi galleggianti sul fiume).

I nostri mulini, viceversa, traggono l’acqua necessaria per far girare la "grande ruota" attraverso una canalizzazione che ha inizio da una presa per la derivazione idrica e convoglia l'acqua nel "buttem molendini", vasca di carico del mulino dove si raccoglie in quantità sufficiente per assicurare un flusso costante atto ad imprimere la forza richiesta per muovere la ruota.

L'acqua , infatti, dalla vasca di carico, attraverso " la canaletta" scorre lungo la base della ruota. Legata a quest'ultima da ingranaggi vi è il complesso macinante: la mola inferiore , fissa, e su essa girava la mole superiore detta "curritium".

Nel tentativo di ricostruire il mondo di uomini e cose che ruotavano intorno ai mulini va in primo luogo sottolineato che i proprietari erano sempre monasteri, vescovadi, o rappresentanti della classe feudale , del patriziato urbano o comunque chi poteva realizzare quel notevole investimento di capitale che la costruzione del mulino comportava.

Il proprietario dava, dietro pagamento di un canone, la gestione del mulino ad un gabelloto, talvolta decideva di gestirlo mediante una società con cui divideva lucro e spese.

Al funzionamento e manutenzione della mola si occupava il molinaro, il compito di trasportare il frumento fino alla tramoggia e successivamente insaccarlo spettava, poi, al saccaro (ma spesso erano la stessa persona).

Dalle fonti che abbracciano un arco temporale che va dal XV al XVIII sec. sappiamo che i mulini rimasero nelle mani del signore feudale, che in tal modo si assicurava il monopolio della produzione di farina del territorio, anche se lentamente l'opposizione dei privati cittadini a tale politica monopolistica finì col prevalere.