"Qualsiasi cosa facciano le donne, devono essere almeno due volte più brave di un uomo per essere considerate brave quasi quanto lui. Per fortuna, questo non è difficile"
Charlotte Whitton
Un diffuso pregiudizio contro l'educazione delle donne ha caratterizzato la società occidentale quasi in tutte le epoche, ma ciò non ha del tutto escluso le donne dalla conoscenza scientifica.
In Italia le studiose erano sempre state rispettate, e nel resto dell'Europa le donne desiderose di dedicarsi alla cultura e alla scienza avevano trovato, per secoli, nei conventi luoghi dove sottrarsi ad una soffocante vita famigliare. La chiusura dei monasteri nei paesi della Riforma peggiorò la loro situazione, ma in compenso molte sette protestanti affermarono il diritto delle donne all'istruzione.
Tra il XVII e XVIII secolo si accese un vivace dibattito sull'educazione delle donne che, dapprima osteggiate e poi messe in ridicolo perché si atteggiavano a "femmes savantes" , furono infine ritenute degne di accedere alla cultura, anche scientifica.
La rivoluzione scientifica produsse profondi mutamenti nella formazione delle classi colte, uomini e donne di ceto elevato si trasformarono in scienziati dilettanti, muniti di microscopi e telescopi "giocattolo".
Laboratorio di chimica di Pietro Leopoldo di Lorena, circa 1780
Il momento magico per le "dame di scienza" si colloca nel secolo dei Lumi, quando le donne di classe elevata trovarono nei salotti un terreno sul quale misurarsi con gli uomini quasi ad armi pari.
In quella che costituì la prima divulgazione scientifica dell'età moderna, che si accompagnò al diffondersi dell'Illuminismo, le donne non fecero solo la parte delle destinatarie di libri di scienza per non specialisti, ma spesso ne furono autrici. Ricordiamo il famoso Neutonianesimo per le dame di Francesco Algarotti (1712-1764) o La chimica per le donne del veneziano Giuseppe Compagnoni (1754-1833), amico di Vincenzo Dandolo (1758-1819) che curò le prime edizioni italiane del Traité de Chimie di A.Lavoisier.
Nel XVII secolo vide la luce il primo trattato di chimica firmato da una donna dopo quello di Maria Giudea. Il trattato di Marie Meurdrac, pubblicato a Parigi nel 1666, era suddiviso in sei parti, comprendeva: principi sperimentali, apparati e tecniche, animali, metalli, proprietà e preparazione di semplici medicine (o composte), cosmetica; presentava le tavole di centosei simboli alchemici. L'opera era basata sul principio alchemico, che vuole le sostanze formate da tre principi: sale mercurio e zolfo. La Meurdrac nella prefazione del suo trattato scrive: "...gli uomini accusano e ridicolizzano sempre il prodotto dell'ingegno femminile; d'altro canto sostenevo me stessa dicendomi di non essere l'unica signora ad aver pubblicato qualcosa, che la mente non ha sesso e che se le menti delle donne fossero educate come quelle degli uomini, e se si impiegasse pari tempo e pari energia a istruire le prime esse avrebbero eguagliato le seconde".
Ancora più efficace fu l'opera di Jane Haldemond Marcet (1769-1858), che nel 1805 pubblicò un libro di divulgazione "Conversation on Chemistry" nel quale esponeva i concetti della nuova chimica in forma dialogica tra un'insegnante Mrs.B. e due allieve Caroline e Emily, mantenendo un approccio sperimentale. Opera di grande diffusione, le Conversations ebbero 16 edizioni inglesi, 2 traduzioni francesi e 15 edizioni americane. Lo scienziato autodidatta M.Faraday lo utilizzò come testo di chimica per la sua formazione.