LAVARSI O NON LAVARSI ?
In genere il modo di considerare l'acqua si è fondato sui riti di purificazione e l'acqua è spesso stata presa a simbolo di purezza, tuttavia non mancano testi letterari e pregiudizi popolari che ne sottolineano invece gli aspetti negativi.
Nel Settecento si pensava che il lungo contatto con l'acqua ostruisse i pori, evitasse la traspirazione e rendesse il sangue denso, provocando come conseguenza l'amenorrea, cioè la mancanza di mestruazioni. In questo modo si spiegavano i disturbi delle lavandaie e delle contadine che lavoravano nella macerazione della canapa e del lino. A tutte le donne quindi, per molto tempo, è stato consigliato di non fare pediluvi e di non lavarsi durante le mestruazioni. Inoltre per molti secoli, dopo l'abbandono dell'abitudine del bagno che era stata tipica dei Romani, la pulizia del corpo è stata considerata riservata alle prostitute;
L'igiene femminile è stata a lungo un parametro per dare giudizi sulla condotta morale delle donne: se sporche erano certamente oneste, se pulite certamente prostitute. Per le donne oneste infatti non c'era alcun bisogno di lavarsi, anzi, riservare cura al proprio corpo era considerato peccaminoso.
Per lunghi secoli la medicina ha attribuito all'umidità dell'acqua una valenza negativa, accusandola di aprire i pori e quindi di aprire la via alle infezioni dall'esterno.
Nel medioevo l'etichetta prescriveva di lavarsi la faccia ogni mattina, ma non faceva mai riferimento a bagni completi.
Dal XVI sec., quando la peste si ripresenta con regolarità, l'acqua viene accusata di ogni nefandezza; fare il bagno debilita e quindi espone al rischio di malattie per cui, chi proprio vuole lavarsi, almeno limiti i danni prendendo precauzioni, come ad esempio non uscire di casa per alcuni giorni ed osservare riposo assoluto. Certamente non si lavino mai bambini! La pulizia del corpo è affidata alla "pulizia secca", cioè al cambio dei vestiti, secondo il principio per cui una camicia pulita corrisponde ad un bagno. In realtà poi alla paura di malattie si accompagna a lungo la paura del peccato, in quanto l'igiene personale presuppone la vista ed il contatto con parti del corpo e quindi espone a rischi morali.
Solo a partire dal Settecento cominciano a diffondersi pratiche igieniche, e solo nell' aristocrazia; l'abitudine alla pulizia si diffonderà tra i ceti popolari nel tardo Ottocento, un po' per imitazione, un po' perchè solo quando l'acqua sarà convogliata all'interno delle abitazioni perderà le caratteristiche di elemento prezioso e costoso riservato a pochi. D'altra parte solo un ambiente che permette di lavarsi senza una forzata promiscuità può rendere il bagno un'abitudine.
In Italia, fino alla fine degli anni cinquanta, fare il bagno risultava problematico per la mancanza di ambienti idonei e per l'assenza di un impianto di riscaldamento; in genere l'ambiente usato era la cucina e non era infrequente che la stessa acqua servisse per più persone.
Questo per quanto riguarda l'uso igienico dell'acqua, ma anche come bevanda l'acqua ha spesso suscitato sospetti e rifiuto. Molti proverbi popolari esaltano il vino come antidoto alle più svariate malattie e attribuiscono all'acqua il potere di accorciare la vita e di provocare malinconia e tristezza. Anche molti medici, fino all'Ottocento, individuavano nelle sostanze contenute nell'acqua le responsabili di molte malattie come il cretinismo, il gozzo, le febbri "miasmatiche", e queste credenze per secoli hanno condizionato la cultura e la vita quotidiana delle popolazioni. Credenze inconcepibili, alla luce delle nostre conoscenze scientifiche, ma ineccepibili, se si considerano i rischi delle malattie gastroenteriche che si trasmettono attraverso l'acqua contaminata o il rischio di contrarre malaria nelle zone con acque stagnanti.