Da secoli l'uomo s'interroga sulla possibilità di non essere
solo nel cosmo e se anche non esistessero forme di vita "intelligenti",
spera comunque che prima o poi dallo spazio arrivino segnali chiari della
presenza, magari in Sistemi stellari lontanissimi ,di un pianeta come era
quello terrestre dopo circa 15 miliardi di anni dal Big Bang, cioè
quando comparvero le prime elementari forme di vita sulla Terra.
Già Galileo si appassionò a tali ricerche scorgendo sulla
Luna delle montagne simili alle nostre e scoprendo che tutti i pianeti
erano pressochè sferici, analogamente alla Terra. Sempre nel Seicento
gli studi si spostarono su Marte dove si
notarono le calotte polari e le variazioni di colore del pianeta, che furono
scambiate per il succedersi delle stagioni: oggi si sa che tali colori
sono il risultato di tempeste di polvere e che campioni di suolo marziano
rivelano l'assoluta assenza di vita cosi' come noi la intendiamo. Se però
le possibilità di scoperta di vita sono ormai quasi nulle nel nostro
Sistema, oggi con strumenti sofisticatissimi si è riusciti a trovare
prove dell'esistenza di pianeti che ruotano intorno a tre stelle di tipo
solare: su astri di queste ed altre stelle potrebbero essersi evoluti organismi
viventi. Esiste però un problema: nemmeno il potentissimo Hubble
Space Telescope è in grado di inviare immagini chiare di Marte,
per cui e' facile pronosticare, almeno per adesso, l'assoluta impossibilità
di avere fotografie di pianeti fuori dal Sistema Solare.
Esistono comunque altre tecniche oltre a quelle fotografiche: quelle
spettroscopiche, con le quali possiamo analizzare la radiazione proveniente
da un corpo celeste e di questo scoprire composizione chimica, temperatura,
pressione atmosferica. I segnali più facilmente riconoscibili sono
quelli delle onde radio, ma finora nessuna ricerca ha messo in luce che
gli extraterrestri le usano per le comunicazioni interstellari! Un pianeta
potrebbe essere popolato da esseri che non comunicano tecnologicamente,
come succedeva milioni di anni fa sulla Terra. Gli elementi-spia della
vita devono essere l'ossigeno, introdotto nell'atmosfera in grandi quantità
dalle alghe, naturalmente il carbonio, l'acqua e l'ozono. Non e' poi difficile
calcolare la "zona abitabile con continuità", ossia l'intervallo
di distanza da una stella entro cui e' possibile la vita, in base alla
luminosità della stella stessa; una distanza appropriata, però,
non significa molto se l'attrazione gravitazionale non e' sufficiente a
far si' che un pianeta abbia oceani ed atmosfera (vedi il caso della Luna),o
se essa e talmente intensa da catturare i gas circostanti accumulando un
guscio di idrogeno ed elio (caso di Giove).Siamo
dunque in grado di specificare esattamente come un pianeta debba essere
per poter ospitare la vita ma per individuarlo dobbiamo prima trovarne
la stella ed essa, con la sua luminosità, oscura il pianeta. Infatti
la radiazione visibile proveniente da astri lontani nella quale individuare
tracce d'ossigeno è quasi totalmente oscurata dalla luminosità
della sua stella che lo supera di un fattore 10 elevato a 10.
A questo problema
si cerco' di dare una soluzione nel 1986,anno in cui si propose di osservare
a lunghezze d'onda più grandi di quelle visibili di 10/20 volte:
la stella vicina sarebbe cosi' solo 10 volte più luminosa del pianeta.
Inoltre, si riuscirebbero ad identificare anche l'ozono, l'anidride carbonica
e l'acqua. Per tutto ciò servirebbero pero' telescopi che cancellassero
il calore emesso dall'atmosfera ed il loro stesso calore, altrimenti non
saremmo in grado di individuare un segnale così debole; dovrebbero
essere anche eliminate le tracce presenti sulla Terra di quegli elementi
che vogliamo trovare altrove. Si potrebbe collocare il telescopio al di
fuori della nostra atmosfera, ma esso necessiterebbe di una risoluzione
altissima che può solo venire da una superficie specchiante di grandezza
e di costi improponibili. Per mettere a punto un telescopio di dimensioni
più ragionevoli,23 anni fa uno scienziato della Stanford University
propose di affiancare, a distanza di 20 metri, due telescopi combinati
opportunamente per dare immagini nitide. Bracewell suggerì di puntare
i telescopi sulla medesima stella e di invertire le onde luminose in un
telescopio di modo che esse, sommate a quelle dell'altro, cancellassero
completamente la luce. Tale interferometro non permette il perfetta allineamento
del pianeta e i due telescopi registrano il suo segnale in istanti leggermente
diversi, così le onde luminose dei due non si elidono. Il metodo
sarebbe quindi stato valido se non si fosse posto il problema della cosiddetta
"luce zodiacale", che è una radiazione infrarossa irradiata dalle
particelle di polvere del Sistema Solare: il debole segnale di un pianeta
lontano sarebbe quasi impercettibile sullo sfondo di questa radiazione.
Insomma, per avere una minima possibilità di scoprire un pianeta
sarebbe necessario mediare i risultati delle osservazioni di almeno un
mese. Oltre a ciò, bisogna tener presente che nessun interferometro
è in grado di cancellare perfettamente la luce stellare, neppure
nel caso del vicino pianeta Giove.
Per superare tali restrizioni si è pensato ,nel 1990,di disporre
quattro specchi a losanga che avrebbero meglio cancellato la luce stellare;
tuttavia, per annullare il bagliore della luce zodiacale si sarebbero dovuti
impiegare specchi di ben otto metri di diametro! Dagli studiosi dell'Università
di Parigi fu proposto di porre tale dispositivo in orbita intorno al Sole
e così sarebbe bastato un diametro di un metro: ma uno strumento
così efficace avrebbe finito per cancellare anche l'esistenza del
pianeta da cercare. Le cose sono rimaste a questo punto fino al 1995,anno
in cui la NASA ha promosso il lavoro di un'equipe la quale è approdata
ad una nuova idea: quella di un interferometro con due coppie di specchi
allineati. Ciascuna coppia è in grado di oscurare l'immagine della
stella ed è anche in grado di cancellare la luce stellare che filtra
dal margine dell'immagine oscurata dall'altra coppia di specchi. E' un
apparecchio molto lungo (dai 50 ai 75 metri),ma questa grande lunghezza
permette di ricevere segnali complessi e caratteristici: si può
venire a configurare la struttura di un Sistema lontano. La costruzione
ditale apparecchiatura è estremamente impegnativa, richiederebbe
la collaborazione di team internazionali, non è ancora stata definita
nei dettagli e costerebbe attorno ai 2 miliardi di dollari (costo comunque
non elevatissimo):questo dispositivo però potrebbe finalmente dare
una risposta definitiva alla domanda: "La vita sulla Terra è un
caso unico nell'Universo?".
Bibliografia:
J. Roger,P. Angei e Neville J. Woolf,
In cerca di vita su altri pianeti.
"Le Scienze" numero 335 , luglio 1996
B. Accordi,E. Lupia Palmieri, M.Parrotto
"Il globo terrestre e la sua evoluzione" -Zanichelli Editore-Bologna
Fin dall’antichità l’uomo si è sempre interrogato sull’esistenza
di altre forme di vita intelligente nell’universo, giungendo però
a risposte vaghe ed imprecise, spesso basate su credenze religiose o sul
banale senso comune. D’altra parte una risposta positiva a questo interrogativo
rappresenterebbe sicuramente la più importante scoperta del genere
umano dalla sua nascita.
Sebbene un ipotetico primo contatto vero e proprio sia poco probabile,
date le grandi distanze cosmiche e l’incredibile arretratezza della nostra
tecnologia, oggi è però possibile, sulla base di criteri
scientifici, andare alla ricerca di altri pianeti abitabili e di altre
civiltà oltre il nostro sistema solare.
Apparentemente, anche limitandosi strettamente alla nostra Galassia,
ci si trova di fronte alla classica situazione dell’ago nel pagliaio, per
via del gran numero di corpi celesti che la popolano; tuttavia, grazie
proprio a questa grande quantità di astri, la probabilità
di trovare civiltà extraterrestri nella Via Lattea sembra
essere alta.
Ma come si può stabilire l’effettiva abitabilità di un
pianeta? Quali sono i sistemi stellari probabilmente popolati da una civiltà?
I parametri di valutazione sono molti e coinvolgono non solo i pianeti,
ma anche le stelle attorno alle quali orbitano. Queste devono essere possibilmente
singole e non multiple in quanto l’orbita di eventuali pianeti sarebbe
necessariamente complicata, alternando passaggi ravvicinati a posizioni
estremamente lontane dall’astro centrale, con una conseguente alta variabilità
nella quantità di radiazione ricevuta dalla superficie, una variabilità
Di temperatura e luminosità difficilmente compatibile con l’evoluzione
biologica così come la conosciamo sulla Terra.
La stella deve poi appartenere alla sequenza principale del diagramma
H-R, poiché fuori da questa vi sono soltanto le stelle morenti,
la cui energia sarebbe insufficiente per lo sviluppo della vita. Per di
più non tutte le stelle della sequenza principale sono ideali per
la nascita della vita: questa infatti necessita di molta pazienza e costanza
(sulla Terra è apparsa dopo un miliardo di anni dalla formazione
del pianeta). Per questo motivo sono sfavoriti i pianeti orbitanti intorno
a stelle molto grandi e calde, troppo veloci nel bruciare il loro patrimonio
di idrogeno. D’altra parte dovremo escludere anche le stelle scarsamente
luminose dalla vita lunghissima, poiché nei pianeti orbitanti attorno
ad esse la civiltà con cui potremmo comunicare avrebbe probabilmente
concluso da tempo il suo arco di esistenza. Per poter comunicare abbiamo
bisogno non soltanto di una specie intelligente, ma anche che essa copra
il nostro stesso intervallo di tempo.
La composizione delle stelle è poi molto importante: per lo
sviluppo della vita sono necessari, oltre ad idrogeno ed elio, anche elementi
più pesanti, come il carbonio, che solo su stelle di seconda generazione
si possono trovare. Il pianeta adatto ad ospitare
la vita non deve poi essere tropo lontano o vicino alla stella per
ovvi motivi di temperatura, non deve avere massa troppo ridotta, così
da non riuscire a trattenere un’atmosfera (es: la Luna) o, al contrario,
una massa eccessiva che tratterrebbe un’atmosfera toppo densa, facendo
assomigliare il pianeta ad una protostella (è il caso di Giove).
Sembra dunque che la massa di un pianeta adatto ad ospitare la vita si
collochi tra 1/3 della massa terrestre e 10 masse terrestri.
Basilare è poi la presenza di un’idrosfera atta a proteggere
gli esseri viventi dalla pericolosa radiazione ultravioletta.
Per quanto riguarda poi gli elementi costitutivi della vita, quasi
tutti gli scienziati sono ormai d’accordo nell’affermare che il materiale
di base deve essere ovunque lo stesso: il carbonio. Sappiamo infatti che
per avere un sistema vivente occorre utilizzare un mezzo in grado di immagazzinare
e replicare grandi quantità di informazioni che la nostra specie
ha acquisito nel corso di centinaia di migliaia di anni di evoluzione.
I risultati di queste esperienze sono codificati nei geni che ci dicono
come dobbiamo vivere . Senza queste informazioni non potremmo sopravvivere.
L’essenza della vita consiste nell’accedere a queste grandi quantità
di informazioni, di essere in grado di replicarle e trasmetterle alla generazioni
successive. Tutto ciò richiede molecole complesse, e quindi la vita
non può essere basata che su un atomo che sia in grado di creare
molecole molto grandi e complicate, e, allo stesso tempo stabili. Se si
considerano gli atomi disponibili, il carbonio è l’unica scelta
possibile. Esso infatti forma legami molto forti (doppi e tripli) ed è
per di più molto versatile: le varietà possibili di proteine
a base di carbonio sono 20 alla centesima. Il silicio, possibile sostituto
del carbonio, non sembra avere la stessa versatilità e stabilità.
Oltre all’elemento base è necessario per la vita anche un opportuno
solvente con determinate proprietà:
Recentemente l’Hubble
Space Telescope ha localizzato numerosi pianeti extrasolari. Nessuno però
sembra rispondere pienamente alle caratteristiche prima discusse:
Ma le probabilità realistiche di ricevere segnali dell’ esistenza
di altre civiltà non sono legate tanto al telescopio spaziale, quanto
alle onde radio. Queste onde sono captabili mediante i radiotelescopi che,
operando su frequenze molto alte (tra 1 e 3 Ghz) sono in grado di ricevere
su queste bande eventuali segnali artificiali (quelli naturali hanno bassa
frequenza) e quindi probabilmente provenienti da altri pianeti. Tale ricerca
è però difficile per due motivi:
le stelle e le galassie che ci circondano emettono una forte radiazione
che disturba moltissimo l’osservazione e offusca la altre onde
noi siamo in grado di emettere e ricevere segnali soltanto da 60 anni,
un tempo che su scala cosmica è troppo breve per avere un’alta probabilità
di captare messaggi
Nonostante ciò la ricerca continua, oltre che alla alte frequenze,
anche ad una frequenza "magica" più bassa: quella corrispondente
alla riga a 21 cm dell’idrogeno neutro, pari a 1420 Mhz. Questa frequenza
è molto utile nell’ esplorazione della Galassia (consente di valutare
le concentrazioni di idrogeno) ed è quindi probabile che altre civiltà
abbiano deciso di mandare il loro messaggio su questa banda piuttosto che
su altre, confidando che altri la utilizzino per scandagliare l’universo.
Ricerche di questo tipo sono state finora condotte a partire dagli
anni 60 dal S.E.T.I (Search for ExtraTerrestrial Intelligence) che ha coinvolto
numerosi paesi, finora con scarsi risultati, dovuti più che altro
alla poca potenza degli strumenti. Si spera in un prossimo futuro di acquisire
la tecnologia necessaria non solo per ricevere ma anche per inviare massaggi.
Per ora dovremo accontentarci di rudimentali strumenti come le sonde Voyager
o Pioneer, su cui sono stati incise e raffigurate le testimonianze della
nostra esistenza .
Nel caso si ricevesse
un ipotetico segnale alieno da qualche punto della Galassia, ci sarebbe
allora il problema di raggiungere il luogo da cui il massaggio è
partito. Con la tecnologia a propulsione chimica di cui oggi disponiamo
la durata del viaggio sarebbe però proibitiva dato che le velocità
raggiungibili sarebbero irrilevanti su scala galattica. Per poter coprire
grandi distanze in un tempo, se non breve, per lo meno ragionevole sono
state ipotizzate diverse modalità di propulsione alternativa tali
da garantire velocità paragonabili a quella della luce (la massima
possibile):3*10all’ottava m/s. La prima proposta avanzata si basa sull’utilizzo
di un motore a propulsione atomica:un motore che sfrutta cioè la
spinta fornita dall’ esplosione di più bombe a fissione (una al
secondo). In tal modo potremmo ottenere un’accelerazione tale da
assicurare una velocità di crociera pari a circa il 10% della velocità
della luce. Una seconda possibilità sarebbe poi lo sfruttamento
della reazione di annichilazione materia-antimateria: delle tre reazioni
nucleari è quella dalla quale si può ottenere più
energia (sotto forma di radiazione elettromagnetica),fornendo così
la potenza necessaria per raggiungere una velocitàpari a 1/3c. Sebbene
sia molto difficile produrre e conservare antimateria gli studi riguardo
a propulsori di questo tipo sono già in atto. In questo modo potremo
essere sul pianeta Marte in 40 gg. C’è
chi ipotizza anche la possibilità di raggiungere velocità
pari anche a 0.9c grazie alle cosidette "vele spaziali", pannelli molto
estesi e sottilissimi, collegati all’astronave, spinti da un raggio laser
ricavato dalla luse solare; una spinta molto debole, ma crescente nei mesi
e negli anni. Tuttavia, anche giungendo a velocità molto prossime
a quella della luce, ci vorrebbero più di 100000 anni (secondo il
riferimento terrestre) per attraversare solo la Galassia. Ma è allora
possibile percorrere grandissime distanze in breve tempo? Anche se la relatività
ristretta ci dice di no, la relatività generale ci offre qualche
spiraglio. Introducendo il concetto di spazio-tempo curvo, essa ci permette
di viaggiare globalmente a velocità superiori a quella della luce,
pur rispettando localmente la relatività ristretta.Einstein ha a
suo tempo dimostrato che una qualsiasi massa gravitazionale è in
grado di incurvare lo spazio-tempo circostante grazie al campo gravitazionale
da essa generato. La soluzione in teoria adottabile consiste quindi nel
contrarre lo spazio-tempo "antistante" l’astronave e dilatare quello "retrostante";
in questo modo il viaggiatore si troverebbe alla fine molto lontano dal
punto di partenza e molto vicino alla destinazione, e inoltre, muovendosi
in un riferimento locale,a velacità molto inferiori a c, gli orologi
a bordo resterebbero sincronizzati con quelli dei luoghi d’origine e d’arrivo,
in quanto non si avrebbe dilatazione del tempo, essendo lo spazio-tempo
stesso a "spostarsi" con la nave. Pare che la relatività generale
ci consenta questo lusso che con la relatività ristretta ci sembrava
impossibile. Ma c’è un ma: infatti, per incurvare lo spazio-tempo
in maniera così vistosa, ci vorrebbero quantità d’energia
pari circa a quella prodotta dal Sole durante la sua intera vita, e per
di più dovremmo disporre di una certa quantità di energia
di materia "negativa" in grado di respingere anziché attrarre. Purtroppo
non possediamo per ora nemmeno gli strumenti teorici per verificarne l’effettiva
producibilità, dato che ancora nessuno è stato in grado di
trovare un modello fisico-matemetico che possa confermare le leggi della
meccanica quantistica a livello macroscopico, unificandola alla relatività
generale. Questo è un problema che si pone anche se pensiamo di
stabilizzare i cosidetti "tunnel spaziali" (collegamento tra due singolarità
quantistiche, ovvero una scorciatoia tra due punti lontani nello spazio-tempo)
normalmente del tutto incontrollabili.
Non ci resta che avere fiducia.
Bibliografia :
G.Bernardi "La vita extraterrestre" Il sapere tascabili Newton Compton
L.M.Krauss "La fisica di Star Trek" Longanesi
"The X files" unofficial guide.Season #1,#2
Bibliografia:
Il nuovo atlante del cielo, Europeo
Oltre la terra, Fabbri Editori
Last Updated: Marzo-13-1998
Web Author:
Michele Sacchetti
Web Assistent : Giovanni Vaccari
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