Dai buchi neri alle prime cellule.
Itinerari di Astronomia

 
 IN CERCA DI VITA SU ALTRI PIANETI.
di Elena Belloni VAS
 
LA VITA EXTRATERRESTRE
di Federico Di Maria VAS
 
LA RICERCA DELLA VITA
VIAGGI SPAZIALI
 
ESISTE LA VITA SU ALTRI MONDI?
di Marco Veneroni VAS
 
L'ORIGINE DELLA VITA
CHE COSA E' LA VITA?
LE CONDIZIONI PER L'ESISTENZA DELLA VITA
MARTE
GIOVE
 
IN CERCA DI VITA SU ALTRI PIANETI.
 

Da secoli l'uomo s'interroga sulla possibilità di non essere solo nel cosmo e se anche non esistessero forme di vita "intelligenti", spera comunque che prima o poi dallo spazio arrivino segnali chiari della presenza, magari in Sistemi stellari lontanissimi ,di un pianeta come era quello terrestre dopo circa 15 miliardi di anni dal Big Bang, cioè quando comparvero le prime elementari forme di vita sulla Terra.
Già Galileo si appassionò a tali ricerche scorgendo sulla Luna delle montagne simili alle nostre e scoprendo che tutti i pianeti erano pressochè sferici, analogamente alla Terra. Sempre nel Seicento gli studi si spostarono su Marte dove si notarono le calotte polari e le variazioni di colore del pianeta, che furono scambiate per il succedersi delle stagioni: oggi si sa che tali colori sono il risultato di tempeste di polvere e che campioni di suolo marziano rivelano l'assoluta assenza di vita cosi' come noi la intendiamo. Se però le possibilità di scoperta di vita sono ormai quasi nulle nel nostro Sistema, oggi con strumenti sofisticatissimi si è riusciti a trovare prove dell'esistenza di pianeti che ruotano intorno a tre stelle di tipo solare: su astri di queste ed altre stelle potrebbero essersi evoluti organismi viventi. Esiste però un problema: nemmeno il potentissimo Hubble Space Telescope è in grado di inviare immagini chiare di Marte, per cui e' facile pronosticare, almeno per adesso, l'assoluta impossibilità di avere fotografie di pianeti fuori dal Sistema Solare.
Esistono comunque altre tecniche oltre a quelle fotografiche: quelle spettroscopiche, con le quali possiamo analizzare la radiazione proveniente da un corpo celeste e di questo scoprire composizione chimica, temperatura, pressione atmosferica. I segnali più facilmente riconoscibili sono quelli delle onde radio, ma finora nessuna ricerca ha messo in luce che gli extraterrestri le usano per le comunicazioni interstellari! Un pianeta potrebbe essere popolato da esseri che non comunicano tecnologicamente, come succedeva milioni di anni fa sulla Terra. Gli elementi-spia della vita devono essere l'ossigeno, introdotto nell'atmosfera in grandi quantità dalle alghe, naturalmente il carbonio, l'acqua e l'ozono. Non e' poi difficile calcolare la "zona abitabile con continuità", ossia l'intervallo di distanza da una stella entro cui e' possibile la vita, in base alla luminosità della stella stessa; una distanza appropriata, però, non significa molto se l'attrazione gravitazionale non e' sufficiente a far si' che un pianeta abbia oceani ed atmosfera (vedi il caso della Luna),o se essa e talmente intensa da catturare i gas circostanti accumulando un guscio di idrogeno ed elio (caso di Giove).Siamo dunque in grado di specificare esattamente come un pianeta debba essere per poter ospitare la vita ma per individuarlo dobbiamo prima trovarne la stella ed essa, con la sua luminosità, oscura il pianeta. Infatti la radiazione visibile proveniente da astri lontani nella quale individuare tracce d'ossigeno è quasi totalmente oscurata dalla luminosità della sua stella che lo supera di un fattore 10 elevato a 10.
A questo problema si cerco' di dare una soluzione nel 1986,anno in cui si propose di osservare a lunghezze d'onda più grandi di quelle visibili di 10/20 volte: la stella vicina sarebbe cosi' solo 10 volte più luminosa del pianeta. Inoltre, si riuscirebbero ad identificare anche l'ozono, l'anidride carbonica e l'acqua. Per tutto ciò servirebbero pero' telescopi che cancellassero il calore emesso dall'atmosfera ed il loro stesso calore, altrimenti non saremmo in grado di individuare un segnale così debole; dovrebbero essere anche eliminate le tracce presenti sulla Terra di quegli elementi che vogliamo trovare altrove. Si potrebbe collocare il telescopio al di fuori della nostra atmosfera, ma esso necessiterebbe di una risoluzione altissima che può solo venire da una superficie specchiante di grandezza e di costi improponibili. Per mettere a punto un telescopio di dimensioni più ragionevoli,23 anni fa uno scienziato della Stanford University propose di affiancare, a distanza di 20 metri, due telescopi combinati opportunamente per dare immagini nitide. Bracewell suggerì di puntare i telescopi sulla medesima stella e di invertire le onde luminose in un telescopio di modo che esse, sommate a quelle dell'altro, cancellassero completamente la luce. Tale interferometro non permette il perfetta allineamento del pianeta e i due telescopi registrano il suo segnale in istanti leggermente diversi, così le onde luminose dei due non si elidono. Il metodo sarebbe quindi stato valido se non si fosse posto il problema della cosiddetta "luce zodiacale", che è una radiazione infrarossa irradiata dalle particelle di polvere del Sistema Solare: il debole segnale di un pianeta lontano sarebbe quasi impercettibile sullo sfondo di questa radiazione. Insomma, per avere una minima possibilità di scoprire un pianeta sarebbe necessario mediare i risultati delle osservazioni di almeno un mese. Oltre a ciò, bisogna tener presente che nessun interferometro è in grado di cancellare perfettamente la luce stellare, neppure nel caso del vicino pianeta Giove.
Per superare tali restrizioni si è pensato ,nel 1990,di disporre quattro specchi a losanga che avrebbero meglio cancellato la luce stellare; tuttavia, per annullare il bagliore della luce zodiacale si sarebbero dovuti impiegare specchi di ben otto metri di diametro! Dagli studiosi dell'Università di Parigi fu proposto di porre tale dispositivo in orbita intorno al Sole e così sarebbe bastato un diametro di un metro: ma uno strumento così efficace avrebbe finito per cancellare anche l'esistenza del pianeta da cercare. Le cose sono rimaste a questo punto fino al 1995,anno in cui la NASA ha promosso il lavoro di un'equipe la quale è approdata ad una nuova idea: quella di un interferometro con due coppie di specchi allineati. Ciascuna coppia è in grado di oscurare l'immagine della stella ed è anche in grado di cancellare la luce stellare che filtra dal margine dell'immagine oscurata dall'altra coppia di specchi. E' un apparecchio molto lungo (dai 50 ai 75 metri),ma questa grande lunghezza permette di ricevere segnali complessi e caratteristici: si può venire a configurare la struttura di un Sistema lontano. La costruzione ditale apparecchiatura è estremamente impegnativa, richiederebbe la collaborazione di team internazionali, non è ancora stata definita nei dettagli e costerebbe attorno ai 2 miliardi di dollari (costo comunque non elevatissimo):questo dispositivo però potrebbe finalmente dare una risposta definitiva alla domanda: "La vita sulla Terra è un caso unico nell'Universo?".

 
Bibliografia:

J. Roger,P. Angei e Neville J. Woolf,
In cerca di vita su altri pianeti.

"Le Scienze" numero 335 , luglio 1996
B. Accordi,E. Lupia Palmieri, M.Parrotto
"Il globo terrestre e la sua evoluzione" -Zanichelli Editore-Bologna
 

 

 
LA VITA EXTRATERRESTRE
 Federico Di Maria
 

Fin dall’antichità l’uomo si è sempre interrogato sull’esistenza di altre forme di vita intelligente nell’universo, giungendo però a risposte vaghe ed imprecise, spesso basate su credenze religiose o sul banale senso comune. D’altra parte una risposta positiva a questo interrogativo rappresenterebbe sicuramente la più importante scoperta del genere umano dalla sua nascita.
Sebbene un ipotetico primo contatto  vero e proprio sia poco probabile, date le grandi distanze cosmiche e l’incredibile arretratezza della nostra tecnologia, oggi è però possibile, sulla base di criteri scientifici, andare alla ricerca di altri pianeti abitabili e di altre civiltà oltre il nostro sistema solare.
Apparentemente, anche limitandosi strettamente alla nostra Galassia, ci si trova di fronte alla classica situazione dell’ago nel pagliaio, per via del gran numero di corpi celesti che la popolano; tuttavia, grazie proprio a questa grande quantità di astri, la probabilità di trovare civiltà extraterrestri nella Via Lattea  sembra essere alta.
Ma come si può stabilire l’effettiva abitabilità di un pianeta? Quali sono i sistemi stellari probabilmente popolati da una civiltà? I parametri di valutazione sono molti e coinvolgono non solo i pianeti, ma anche le stelle attorno alle quali orbitano. Queste devono essere possibilmente singole e non multiple in quanto l’orbita di eventuali pianeti sarebbe necessariamente complicata, alternando  passaggi ravvicinati a posizioni estremamente lontane dall’astro centrale, con una conseguente alta variabilità nella quantità di radiazione ricevuta dalla superficie, una variabilità
Di temperatura e luminosità difficilmente compatibile con l’evoluzione biologica così come la conosciamo sulla Terra.
La stella deve poi appartenere alla sequenza principale del diagramma H-R, poiché fuori da questa vi sono soltanto le stelle morenti, la cui energia sarebbe insufficiente per lo sviluppo della vita. Per di più non tutte le stelle della sequenza principale sono ideali per la nascita della vita: questa infatti necessita di molta pazienza e costanza (sulla Terra è apparsa dopo un miliardo di anni dalla formazione del pianeta). Per questo motivo sono sfavoriti i pianeti orbitanti intorno a stelle molto grandi e calde, troppo veloci nel bruciare il loro patrimonio di idrogeno. D’altra parte dovremo escludere anche le stelle scarsamente luminose dalla vita lunghissima, poiché nei pianeti orbitanti attorno ad esse la civiltà con cui potremmo comunicare avrebbe probabilmente concluso da tempo il suo arco di esistenza. Per poter comunicare abbiamo bisogno non soltanto di una specie intelligente, ma anche che essa copra il nostro stesso intervallo di tempo.
La composizione delle stelle è poi molto importante: per lo sviluppo della vita sono necessari, oltre ad idrogeno ed elio, anche elementi più pesanti, come il carbonio, che solo su stelle di seconda generazione si possono trovare. Il pianeta adatto ad ospitare
la vita non deve poi essere tropo lontano o vicino alla stella per ovvi motivi di temperatura, non deve avere massa troppo ridotta, così da non riuscire a trattenere un’atmosfera (es: la Luna) o, al contrario, una massa eccessiva che tratterrebbe un’atmosfera toppo densa, facendo assomigliare il pianeta ad una protostella (è il caso di Giove). Sembra dunque che la massa di un pianeta adatto ad ospitare la vita si collochi tra 1/3 della massa terrestre e 10 masse terrestri.
Basilare è poi la presenza di un’idrosfera atta a proteggere gli esseri viventi dalla pericolosa radiazione ultravioletta.
Per quanto riguarda poi gli elementi costitutivi della vita, quasi tutti gli scienziati sono ormai d’accordo nell’affermare che il materiale di base deve essere ovunque lo stesso: il carbonio. Sappiamo infatti che per avere un sistema vivente occorre utilizzare un mezzo in grado di immagazzinare e replicare grandi quantità di informazioni che la nostra specie ha acquisito nel corso di centinaia di migliaia di anni di evoluzione. I risultati di queste esperienze sono codificati nei geni che ci dicono come dobbiamo vivere . Senza queste informazioni non potremmo sopravvivere. L’essenza della vita consiste nell’accedere a queste grandi quantità di informazioni, di essere in grado di replicarle e trasmetterle alla generazioni successive. Tutto ciò richiede molecole complesse, e quindi la vita non può essere basata che su un atomo che sia in grado di creare molecole molto grandi e complicate, e, allo stesso tempo stabili. Se si considerano gli atomi disponibili, il carbonio è l’unica scelta possibile. Esso infatti forma legami molto forti (doppi e tripli) ed è per di più molto versatile: le varietà possibili di proteine a base di carbonio sono 20 alla centesima. Il silicio, possibile sostituto del carbonio, non sembra avere la stessa versatilità e stabilità.
Oltre all’elemento base è necessario per la vita anche un opportuno solvente con determinate proprietà:

    1. bolle ad una temperatura relativamente alta
    2. ha la più alta costante dielettrica
    3. forma ghiaccio che galleggia
    4. è scarsamente reattiva con la maggioranza dei composti
    5. nella maggioranza dei composti si scioglie senza decomporsi
 
La ricerca della vita

Recentemente l’Hubble Space Telescope ha localizzato numerosi pianeti extrasolari. Nessuno però sembra rispondere pienamente alle caratteristiche prima discusse:
Ma le probabilità realistiche di ricevere segnali dell’ esistenza di altre civiltà non sono legate tanto al telescopio spaziale, quanto alle onde radio. Queste onde sono captabili mediante i radiotelescopi che, operando su frequenze molto alte (tra 1 e 3 Ghz) sono in grado di ricevere su queste bande eventuali segnali artificiali (quelli naturali hanno bassa frequenza) e quindi probabilmente provenienti da altri pianeti. Tale ricerca è però difficile per due motivi:
le stelle e le galassie che ci circondano emettono una forte radiazione che disturba moltissimo l’osservazione e offusca la altre onde
noi siamo in grado di emettere e ricevere segnali soltanto da 60 anni, un tempo che su scala cosmica è troppo breve per avere un’alta probabilità di captare messaggi
Nonostante ciò la ricerca continua, oltre che alla alte frequenze, anche ad una frequenza "magica" più bassa: quella corrispondente alla riga a 21 cm dell’idrogeno neutro, pari a 1420 Mhz. Questa frequenza è molto utile nell’ esplorazione della Galassia (consente di valutare le concentrazioni di idrogeno) ed è quindi probabile che altre civiltà abbiano deciso di mandare il loro messaggio su questa banda piuttosto che su altre, confidando che altri la utilizzino per scandagliare l’universo.
Ricerche di questo tipo sono state finora condotte a partire dagli anni 60 dal S.E.T.I (Search for ExtraTerrestrial Intelligence) che ha coinvolto numerosi paesi, finora con scarsi risultati, dovuti più che altro alla poca potenza degli strumenti. Si spera in un prossimo futuro di acquisire la tecnologia necessaria non solo per ricevere ma anche per inviare massaggi. Per ora dovremo accontentarci di rudimentali strumenti come le sonde Voyager  o Pioneer, su cui sono stati incise e raffigurate le testimonianze della nostra esistenza .
 

 Viaggi spaziali
 

Nel caso si ricevesse un ipotetico segnale alieno da qualche punto della Galassia, ci sarebbe allora il problema di raggiungere il luogo da cui il massaggio è partito. Con la tecnologia a propulsione chimica di cui oggi disponiamo la durata del viaggio sarebbe però proibitiva dato che le velocità raggiungibili sarebbero irrilevanti su scala galattica. Per poter coprire grandi distanze in un tempo, se non breve, per lo meno ragionevole sono state ipotizzate diverse modalità di propulsione alternativa tali da garantire velocità paragonabili a quella della luce (la massima possibile):3*10all’ottava m/s. La prima proposta avanzata si basa sull’utilizzo di un motore a propulsione atomica:un motore che sfrutta cioè la spinta fornita dall’ esplosione di più bombe a fissione (una al secondo). In tal modo potremmo ottenere un’accelerazione  tale da assicurare una velocità di crociera pari a circa il 10% della velocità della luce. Una seconda possibilità sarebbe poi lo sfruttamento della reazione di annichilazione materia-antimateria: delle tre reazioni nucleari è quella dalla quale si può ottenere più energia (sotto forma di radiazione elettromagnetica),fornendo così la potenza necessaria per raggiungere una velocitàpari a 1/3c. Sebbene sia molto difficile produrre e conservare antimateria gli studi riguardo a propulsori di questo tipo sono già in atto. In questo modo potremo essere sul pianeta Marte in 40 gg. C’è chi ipotizza anche la possibilità di raggiungere velocità pari anche a 0.9c grazie alle cosidette "vele spaziali", pannelli molto estesi e sottilissimi, collegati all’astronave, spinti da un raggio laser ricavato dalla luse solare; una spinta molto debole, ma crescente nei mesi e negli anni. Tuttavia, anche giungendo a velocità molto prossime a quella della luce, ci vorrebbero più di 100000 anni (secondo il riferimento terrestre) per attraversare solo la Galassia. Ma è allora possibile percorrere grandissime distanze in breve tempo? Anche se la relatività ristretta ci dice di no, la relatività generale ci offre qualche spiraglio. Introducendo il concetto di spazio-tempo curvo, essa ci permette di viaggiare globalmente a velocità superiori a quella della luce, pur rispettando localmente la relatività ristretta.Einstein ha a suo tempo dimostrato che una qualsiasi massa gravitazionale è in grado di incurvare lo spazio-tempo circostante grazie al campo gravitazionale da essa generato. La soluzione in teoria adottabile consiste quindi nel contrarre lo spazio-tempo "antistante" l’astronave e dilatare quello "retrostante"; in questo modo il viaggiatore si troverebbe alla fine molto lontano dal punto di partenza e molto vicino alla destinazione, e inoltre, muovendosi in un riferimento locale,a velacità molto inferiori a c, gli orologi a bordo resterebbero sincronizzati con quelli dei luoghi d’origine e d’arrivo, in quanto non si avrebbe dilatazione del tempo, essendo lo spazio-tempo stesso a "spostarsi" con la nave. Pare che la relatività generale ci consenta questo lusso che con la relatività ristretta ci sembrava impossibile. Ma c’è un ma: infatti, per incurvare lo spazio-tempo in maniera così vistosa, ci vorrebbero quantità d’energia pari circa a quella prodotta dal Sole durante la sua intera vita, e per di più dovremmo disporre di una certa quantità di energia di materia "negativa" in grado di respingere anziché attrarre. Purtroppo non possediamo per ora nemmeno gli strumenti teorici per verificarne l’effettiva producibilità, dato che ancora nessuno è stato in grado di trovare un modello fisico-matemetico che possa confermare le leggi della meccanica quantistica a livello macroscopico, unificandola alla relatività generale. Questo è un problema che si pone anche se pensiamo di stabilizzare i cosidetti "tunnel spaziali" (collegamento tra due singolarità quantistiche, ovvero una scorciatoia tra due punti lontani nello spazio-tempo) normalmente del tutto incontrollabili.
Non ci resta che avere fiducia.
 

Bibliografia :

G.Bernardi "La vita extraterrestre"   Il sapere tascabili Newton Compton

L.M.Krauss "La fisica di Star Trek" Longanesi

"The X files" unofficial guide.Season #1,#2
 



 
 
ESISTE LA VITA SU ALTRI MONDI?
di Marco Veneroni
 
L'ORIGINE DELLA VITA
CHE COSA E' LA VITA?
LE CONDIZIONI PER L'ESISTENZA DELLA VITA
MARTE
GIOVE
 
Che cosa e' la vita?
 
Da sempre l'uomo si è chiesto se esiste la vita su altri mondi e con la sua fantasia ha cercato di immaginarne i possibili abitatori. Oggi i progressi della scienza permettono di formulare ipotesi più attendibili, anche se meno poetiche, su questo grande interrogativo.
Se vogliamo offrire un'analisi coerente delle possibilità di vita extraterrestri, è necessario anzitutto definire l'obiettivo della nostra ricerca: la vita.
La definizione più semplice che si possa dare è questa: la vita consiste nella capacità che ha un organismo di conservare la propria struttura e di compiere un'attività. Altre caratteristiche che si possono prendere in considerazione per fare una distinzione tra organismi viventi e oggetti inanimati sono la composizione chimica, il comportamento, la struttura e la disposizione degli elementi che la costituiscono. L'elemento chimico predominante negli organismi viventi è il carbonio, mentre negli oggetti inanimati è il silicio. Inoltre, gli organismi viventi mostrano di a vere un comportamento ben definito, che ha lo scopo di mantenere il loro funzionamento e di adattarsi alle condizioni ambientali modificando in modo autonomo il loro comportamento. Infine, gli organismi viventi hanno una struttura eterogenea, cioè sono composti da una o più cellule molto differenziate, e le cellule stesse sono costituite da diverse parti con funzioni specifiche; invece gli oggetti inanimati hanno una struttura omogenea, cioè sono costituiti, in tutta la loro massa, dagli stessi elementi, uniformemente distribuiti e regolarmente disposti, destinati tutti alla medesima funzione.
 
 
L'origine della vita
 
Una volta chiarito che cosa si intende per organismo vivente, non possiamo porci subito la domanda se la vita esista su altri mondi: prima dobbiamo risolvere il problema dell'origine della vita stessa. L'ipotesi di base e quella dell'evoluzione chimica: in condizioni opportune gli atomi dei diversi elementi chimici che costituiscono gli organismi viventi devono essersi riuniti a dare le prime molecole complesse di aminoacidi e carboidrati le quali, a loro volta, devono essersi evolute verso polimeri ancora più complessi, simili alle proteine e agli acidi nucleici che costituiscono la vera e propria materia vivente.
Questa successione di eventi ha dato luogo alla comparsa della vita sulla Terra in un momento compreso tra 4,6 miliardi di anni fa, data di formazione del nostro pianeta, e 3,8 miliardi di anni fa, data di nascita della più antica roccia terrestre contenente tracce di vita. Per sapere cos'è accaduto in quest'intervallo di tempo si ricorse a degli esperimenti di laboratorio. In un pallone di vetro fu ricostruita l'atmosfera terrestre di due miliardi di anni fa, facendo arrivare una corrente gassosa di vapore acqueo, metano e ammoniaca mescolati nelle opportune proporzioni: in questo ambiente simulato furono inviati potenti fasci di raggi ultravioletti e vennero fatte scoccare forti scariche elettriche che svolgevano il ruolo di fulmini; tutto questo procedimento durò una settimana. Alla fine, sul fondo del recipiente si raccolsero alcune goccioline di composti chimici formatisi per reazione tra i materiali presenti. Quando fu fatta l'analisi chimica, si appurò che queste goccioline erano composte in prevalenza da aminoacidi. Questo esperimento confermava così l'ipotesi che la vita nasce ogni volta che si presentano le condizioni ambientali adatte.
 
 
Le condizioni per l'esistenza della vita
 
A questo punto, per risolvere il problema dell'esistenza della vita su altri mondi, dobbiamo porci questa nuova domanda: perchè su un altro pianeta diverso dalla Terra esista la vita, quali devono essere le condizioni ambientali?
Possiamo cominciare dicendo che la vita non esiste sulle stelle: le elevatissime temperature che si hanno sulla superficie degli astri (fino a 50'000°C) farebbero decomporre qualsiasi sostanza chimica dalla struttura complessa, come sono appunto gli aminoacidi. Possiamo anche dire che la vita non esiste neppure nello spazio interstellare: le bassissime temperature che esistono in questo ambiente (intorno ai 3°K) non permetterebbero lo svolgersi di nessuna reazione chimica, dal momento che queste, per avvenire, richiedono una certa energia. Perciò, fatte queste esclusioni, dobbiamo limitare il nostro campo di ricerca ai pianeti del Sistema Solare e ai pianeti di altri sistemi stellari.
Nella nostra indagine dobbiamo tenere presenti alcuni elementi fondamentali. Innanzitutto, perché su un pianeta possano esistere forme viventi, occorre che la sua temperatura superficiale sia compresa fra 0°C e 100°C, infatti, solo all'interno di questo intervallo di temperatura l'acqua, sostanza fondamentale per tutti gli esseri viventi, rimane allo stato liquido. Perché la temperatura superficiale di un pianeta si mantenga entro questi limiti, occorre che il pianeta non sia nè troppo lontano nè troppo vicino alla stella che gli dà luce. Questa condizione è necessaria ma non sufficiente: occorre anche che l'orbita percorsa dal pianeta intorno alla sua stella non sia troppo allungata, in modo che non si allontani e non si avvicini troppo; in tal modo la quantità di calore che il pianeta riceverà non varierà entro limiti troppo ampi, e tutti i fenomeni vitali si svolgeranno con regolarità. Inoltre occorre che il pianeta possieda un'atmosfera "respirabile", ovvero composta di gas utilizzabili dagli organismi viventi e non dannosi per essi. Perché questa condizione sia rispettata occorre che il pianeta abbia una massa di determinate dimensioni: infatti, se la massa fosse troppo piccola, il pianeta non sarebbe in grado di trattenere un'atmosfera attorno a sé, e se la massa fosse troppo grande l'atmosfera conterrebbe gas non respirabili. L'unico pianeta del Sistema Solare che sia dotato di tutte queste caratteristiche è Marte, per quanto sia stata avanzata una teoria fantasiosa anche su Giove.
 
Marte
 
Fu proprio su Marte che vennero lanciate le prime due sonde destinate a eseguire per la prima volta una ricerca diretta di organismi viventi su un pianeta diverso dalla Terra. Si trattava allora dei due oggetti più sofisticati mai scesi su un altro pianeta: le sonde Viking 1 e Viking 2, partite da capo Canaveral rispettivamente il 20 Agosto e il 9 Settembre 1975. Entrambe erano costituite di due parti: la prima, "orbiter", destinata a entrare e rimanere in orbita attorno a Marte; la seconda, "lander", destinata invece ad atterrare ed eseguire riprese fotografiche e analisi del suolo. I lander erano macchine notevolmente sofisticate. Il loro scopo primario era quello di dare un quadro delle condizioni vigenti alla superficie del pianeta e di analizzarne il suolo. Le due sonde Viking erano dotate di un braccio semovente capace di penetrare nel suolo, raccogliere un campione e immetterlo in un piccolo laboratorio in grado di eseguire tre tipi diversi di analisi chimico-biologiche.
Se uno degli esperimenti, infatti, ha dato risultati completamente negativi a proposito della presenza o meno di qualche forma di vita nel suolo marziano, gli altri due hanno invece fornito indicazioni ambigue che possono dare luogo a interpretazioni molto diverse.
Il più interessante è il cosiddetto "labeled release experiment". Il suolo doveva essere mescolato con una certa quantità di sostanze nutrienti (zuccheri) contenenti del carbonio radioattivo. Se nel suolo c'erano degli organismi viventi in qualche modo simili a quelli terrestri, essi si sarebbero nutriti di questi zuccheri e avrebbero poi emesso, come prodotto finale del loro metabolismo, dell'anidride carbonica contenente, appunto, il carbonio radioattivo. Uno strumento adatto a misurare la radioattività controllava i livelli di radioattività prima, durante e dopo l'esperimento. I risultati hanno fatto sobbalzare sulla sedia i tecnici della NASA: dopo qualche ora il livello di radioattività ha cominciato a salire dalla base ambiente di 400 fino a raggiungere il valore altissimo di 10'000. La controprova che si trattava di organismi viventi e non di qualche strana reazione chimica doveva venire dalla sterilizzazione. Il campione fu sterilizzato. Non essendoci più alcun organismo vivente la reazione doveva scomparire: e infatti scomparve. Ancora però, rimaneva il dubbio che si trattasse di una strana reazione chimica, e non biologica, che veniva inibita dalle procedure di sterilizzazione. Allora il campione fu sterilizzato a una temperatura di 120°C invece che 300°C, come in precedenza. L'idea era che quale che fosse la reazione chimica che aveva prodotto il risultato si sarebbe manifestata comunque. Se invece si fosse trattato di organismi viventi la reazione sarebbe scomparsa o si sarebbe notevolmente rallentata. E qui i risultati divennero ancora più misteriosi. La reazione rallentò nettamente, rendendo improbabile l'ipotesi chimica, ma cominciò a comportarsi in modo stranissimo: il carbonio radioattivo veniva emesso e riassorbito dal suolo con un ciclo giornaliero, un po' come accade alle piante che assorbono carbonio durante il giorno e lo emettono durante la notte. Di fronte a questi ultimi risultati, che potevano far pensare alla presenza nel suolo di qualche microrganismo, l'attenzione si spostò sulle analisi chimiche del suolo: se  ci fossero stati dei microrganismi, qualche molecola organica, di quelle che noi sappiamo costituire la struttura base dei nostri microrganismi, doveva pur esserci. E invece no. L'esperimento diede risultati assolutamente negativi. E così, ancora oggi dopo altri numerosissimi esperimenti e ricerche, non sappiamo con certezza se qualcosa vive su Marte oppure no.
 
 
 Giove
 
Su un pianeta gigante come Giove, con atmosfera ricca di idrogeno, elio, metano, acqua e ammoniaca, non esistono superfici solide accessibili; nell'atmosfera densa e nebulosa le molecole organiche possono cadere dal cielo come manna, o come i prodotti degli esperimenti di laboratorio. C'è però un impedimento alla vita caratteristico su un tale pianeta: l'atmosfera è turbolenta e nei suoi abissi più profondi è molto calda. Un organismo che si lasciasse andar giù finirebbe fritto. Per dimostrare che la vita non è impossibile anche su un pianeta tanto diverso dal nostro Carl Sagan, astronomo americano, ha fatto alcune considerazioni con E.E.Salpeter, suo collega alla Cornell University. Entrambi non pensavano di scoprire come potesse essere la vita su Giove, ma volevano vedere se un mondo di tal sorta, compatibilmente con le leggi della fisica e della chimica, tollerasse l'ipotesi di risultare abitato da forme di vita.
Un modo di vivere in un ambiente come quello di Giove, affermano, potrebbe essere continuare a far figli prima di essere distrutti, sperando che i moti convettivi portino qualcuno dei vostri rampolli fino a strati più alti e freddi dell'atmosfera. Organismi adatti dovrebbero essere molto piccoli: potremmo chiamarli sinker. Ma potreste anche essere un floater,  un grande pallone che pompa fuori da sè l'elio e i gas più pesanti, conservando solo il gas più leggero: l'idrogeno; o un pallone che si tiene a mezz'aria scaldando il suo interno con l'energia fornita dal cibo ingerito. Come un pallone aerostatico terrestre, più in basso va un floater e più forte è la spinta al galleggiamento che lo fa tornare nelle regioni superiori fredde e sicure dell'atmosfera. Un floater potrebbe nutrirsi di molecole organiche preformate, o costruirne da sè partendo dalla luce solare e dall'aria, come fanno le piante terrestri. Entro certi limiti, maggiori dimensioni garantiscono una migliore efficienza. Salpeter e Sagan hanno pensato a floater del diametro di chilometri, molto più grossi della più grossa balena, creature grandi come città.  I floater potrebbero muoversi nell'atmosfera planetaria con getti di gas, come uno statoreattore o un razzo. I due astronomi li immaginano raccolti in grandi, pigri branchi estesi a perdita d'occhio. Hanno una pelle ricoperta da disegni mimetici, dal che si capisce che hanno anch'essi i loro problemi. Infatti c'è un pericolo ecologico in tale ambiente: la caccia. I cacciatori si muovono con agilità e destrezza, e prendono i floater per le loro molecole organiche e la loro riserva di idrogeno puro. Sinker cavi possono essersi evoluti nei primi floater e floater autopropulsi nei primi cacciatori. Questi ultimi però non devono essere in numero eccessivo per mantenere l'equilibrio ecologico di quest'ipotetico ciclo di vita extra terrestre.
 
 

Bibliografia:

Il nuovo atlante del cielo, Europeo

Oltre la terra, Fabbri Editori
 
 


Last Updated: Marzo-13-1998
Web Author: Michele Sacchetti
Web Assistent : Giovanni Vaccari
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