Forse un giorno l'uomo potrà viaggiare per l'universo, ma per
ora resta legato alla Terra; anche i viaggi sulla Luna hanno coperto distanze
insignificanti dal punto di vista astronomico. Tutte le osservazioni restano
pertanto geocentriche e soltanto le teorie possono fare riferimento a un
centro diverso dalla Terra (per esempio, il Sole nella teoria eliocentrica).
Tutte le. osservazioni hanno per oggetto i diversi punti di quella cupola,
simile a una semisfera e limitata al cerchio dell'orizzonte, che prende
il nome di "cielo".
Fino al 1609
l'unico mezzo di osservazione per l'uomo è stato l'occhio: in quell'anno
Galileo Galilei ha puntato verso il cielo il primo cannocchiale e nello
stesso secolo ,nel 1688, Newton .prima di formulare la teoria della gravitazione
universale , ha costruito un moderno telescopio a riflessione, che gli
valse la nomina a membro della Royal Society. . Poi sono stati costruiti
cannocchiali e telescopi via via migliori come lavorazione, più
grandi come diametro e perciò capaci di vedere meglio e più
lontano nell'universo. Spettroscopi, lastre fotografiche e altri strumenti
ausiliari, nel secolo scorso hanno reso più efficaci i cannocchiali
e i telescopi per l'indagine del cielo. Dalla metà del nostro secolo
il radiotelescopio è venuto a portare il suo contributo all'analisi
degli astri e poco dopo satelliti artificiali e sonde lanciati dall'uomo
hanno cominciato a vagare nello spazio. Tuttavia, nessuno strumento è
capace di fornire immediatamente all'uomo una misura, o anche una semplice
stima, della distanza a cui si trova l'oggetto celeste verso il quale è
diretto. Proprio per questo, le stelle ci sembrano tutte a un'eguale distanza
da noi e le giudichiamo appartenenti a una superficie sferica che rivolge
a noi la sua concavità. A occhio nudo, soltanto la Luna e il Sole
presentano un disco chiaramente riconoscibile. Un modesto telescopio
permette di osservare abbastanza facilmente il disco (molto più
piccolo) di Venere, Marte, Giove e Saturno e intuitivamente ci si
rende conto che questi astri devono essere più vicini. Ma le stelle
restano dei punti anche quando le guardiamo o le fotografiamo con i più
potenti telescopi e sembrano tutte alla stessa distanza. Stando fermi
in un punto della Terra e osservando il cielo per una notte intera, lo
vediamo ruotare: molte stelle scompaiono verso occidente, altre stelle
sorgono da oriente; il Sole, che era tramontato sotto l'orizzonte verso
ovest, ricompare a est il mattino successivo. Viaggiando di notte verso
sud, lungo un meridiano terrestre, possiamo veder comparire sopra l'orizzonte
(e proprio verso sud) stelle prima invisibili; contemporaneamente altre
stelle scompaiono sotto l'orizzonte, in direzione nord. Quanto più
rapido sarà il viaggio, tanto più evidente sarà il
fenomeno; ma già gli antichi lo avevano notato, e noi possiamo vederlo
bene stando comodamente seduti nella sala di un planetario. Le osservazioni
precedenti portano alla conclusione che il cielo è una sfera e non
una semisfera; ma questo l'uomo lo ha capito abbastanza presto, mentre
per molti secoli si è discusso il valore da attribuire al raggio
della sfera celeste. Soltanto in tempi relativamente recenti (la prima
misura di una distanza stellare è del 1838) è stato possibile
dimostrare che il problema non aveva senso e che la superficie sferica
sulla quale le stelle sembrano infisse è una pura apparenza. Il
cielo non è assimilabile all'involucro di un pallone: quello che
vediamo è l'intero volume del pallone, occupato da stelle che si
trovano a distanze molto diverse da noi, anche se i nostri sensi non ci
consentono di cogliere intuitivamente tale realtà. I sensi ci ingannano
poi anche in un altro modo, dandoci l'impressione di occupare proprio il
punto centrale del pallone, o dell'universo.
Il concetto di grandezza o magnitudine stellare è uno dei tanti
che abbiamo ereditato dagli antichi. Il loro ragionamento era semplice:
se tutte le stelle sono alla stessa distanza da noi (sulla superficie interna
del pallone che ha per centro la Terra) e tutte sono composte di una medesima
materia incorruttibile, che quaggiù sulla Terra non esiste, le.
stelle più luminose devono necessariamente essere le più
grandi. Fino all’inizio dell'età moderna, qualcuno preferì
quest'altra ipotesi, che portava alla stessa conclusione: la sfera celeste
è una superficie opaca con tanti fori che ci permette di vedere
la luce dell'empireo; ogni foro è una stella e una stella più
luminosa è anche più grande, perché corrisponde a
un foro di diametro maggiore. In base a queste concezioni, le stelle vennero
raggruppate in sei classi di grandezza: la prima grandezza comprendeva
le più luminose mentre nella sesta rientravano le stelle appena
percettibili a occhio nudo, in una notte senza Luna e lontano da sorgenti
luminose. Oggi sappiamo che la quantità di luce che ci perviene
da una stella, oltre che dal suo volume, dipende essenzialmente da due
altri fattori: la temperatura alla superficie della stella e la sua distanza
da noi. Si dovrebbe quindi rigettare il criterio usato dagli antichi, ma
la classificazione delle stelle in relazione alla loro luminosità
torna conveniente in molti casi. Perciò si è convenuto di
rispettare la tradizione, chiamando magnitudine apparente quella che gli
antichi chiamavano grandezza; con il termine "magnitudine", di sapore latino,
si richiama l'attenzione sul fatto che non ci si riferisce alle dimensioni
effettive ma alla luminosità dell'astro; con l'aggettivo "apparente"
si sottolinea che le stelle vengono classificate come ci appaiono e non
come sono in realtà.
Sulla volta
celeste le stelle sembrano raggrupparsi a formare curiosi disegni. Tuttavia,
salvo casi piuttosto rari, tra le stelle che formano una costellazione
non esiste alcun legame; le costellazioni, cioè, non hanno alcuna
realtà fisica Immaginiamo di sospendere al offitto di un grande
salone, con fili di lunghezza diversa, tante lampadine. Gironzolando per
il salone le vedremo da prospettive diverse; le vedremo avvicinarsi, aggrupparsi,
separarsi, disporsi secondo disegni schematici continuamente variabili
e non baderemo troppo a questi disegni. Se invece, per un lungo periodo
di tempo, siamo costretti all’immobilità in un punto del salone,
finiremo con l'interessarci agli schemi tracciati dalle lampadine; cominceremo
a immaginare figure di nimali, di mostri, di oggetti e così via;
e finiremo con l'assegnare un nome a ciascun gruppo per individuarlo rapidamente,
soprattutto se dobbiamo parlarne con il nostro vicino. La stessa cosa succede
per le. costellazioni: le singole stelle sono come le lampadine nel salone.
In realtà, sia le stelle sia la Terra si muovono; ma le. distanze
sono tali che occorrono alcune decine di migliaia di anni perché
una costellazione si deformi, modificando sensibilmente il suo disegno
schematico. Nel corso della sua vita l'uomo vede sempre lo stesso disegno;
una deformazione in realtà avviene, ma è troppo ridotta perché
il nostro occhio sia in grado di coglierla. L'espressione "stelle fisse",
coniata dagli antichi e ancor oggi usata molto spesso, si riferisce a questa
caratteristica di apparente indeformabilità delle costellazioni.
Naturalmente quando le comunicazioni erano rare, civiltà diverse
hanno dato nomi diversi al medesimo raggruppamento di stelle. I greci vedevano
un'Orsa dove i romani vedevano un Carro e i cinesi una Padella; nelle medesime
sette stelle gli egizi vedevano la Zampa posteriore di un bue e gli ebrei
uno strumento per la monda del grano, il ventilabro. Nel nostro secolo
colle comunicazioni molto più frequenti e facili, si è imposta
l'unificazione dei nomi e una delimitazione precisa delle costellazioni;
così nel 1928, gli astronomi si sono accordati sul nome di 88 raggruppamenti
che coprono tutta la sfera celeste. I nomi scelti per le costellazioni
sono, per quanto possibile, quelli derivanti dalla tradizione greca che,
attraverso i romani e gli arabi, ha influenzato tutta la cultura europea.
D'altra parte i greci avevano trasferito in cielo alcuni dei loro miti
più belli. Per esempio quello di Callisto, amata da Giove e tramutata
in orsa: l'Orsa Maggiore. O quello di Berenice che sacrifica la sua Chioma
per avere salvo il marito dalla guerra, come raccontano Callimaco e Catullo
o quello di Cassiopea vanitosa, costretta da Nettuno a incatenare
la figlia Andromeda a uno scoglio. Dalle acque emerge un mostro marino
(la Balena) per divorare Andromeda, ma sopraggiunge dal cielo il cavallo
alato Pegaso, con Perseo in groppa; Perseo pietrifica il mostro con la
testa di Medusa (la stella Algol) e libera Andromeda, mentre non molto
lontano l'insignificante Cefeo, il marito di Cassiopea, assiste pallido
e smarrito a tutta la vicenda. Le costellazioni continueranno per sempre
a ricordarci queste e altre favole.
Gli astronomi, come i geografi, stendono un reticolato di meridiani
e paralleli sulla sfera celeste per stabilire la posizione degli astri.
Un reticolato di questo genere prende il nome di "sistema di riferimento"
e la posizione di un punto sarà data mediante due "coordinate" Sulla
terra, il reticolato viene tracciato in un'unica maniera, immaginando tanti
cerchi che passano per entrambi i poli (meridiani) e tanti cerchi chi perpendicolari
ai precedenti: il maggiore di questi ultimi
cerchi sarà l'equatore e tutti gli altri saranno i paralleli
Per stabilire la posizione di un punto sulla superficie terrestre occorre
scegliere arbitrariamente un meridiano di riferimento (e per convenzione
è stato scelto il meridionale passa per Greenwich), mentre fra tutti
i paralleli quello che per le sue caratteristiche si propone come riferimento
fondamentale è l'equatore (oltre a essere il parallelo più
lungo, divide il globo terrestre in due semisfere praticamente uguali).
Le. coordinate di un punto sulla superficie della Terra sono la longitudine,
misurata da O a 180 gradi (partendo dal meridiano di Greenwich e andando
verso est. o verso ovest fino a raggiungere l'antimeridiano di Greenwich),
e la latitudine, misurata da O a 90 gradi (partendo dall'equatore e andando
verso il polo nord o il polo sud). Operazioni del tutto analoghe portano
a stabilire le. coordinate celesti, ma in questo caso la scelta del sistema
di riferimento consente una maggior arbitrarietà. Per esempio, si
può assumere come cerchio base quello dell'orizzonte e tracciare
tanti paralleli a questo cerchio: in tal caso i meridiani passeranno tutti
per lo zenit della località e scenderanno da questo punto (che possiamo
individuare prolungando idealmente fino alla sfera celeste la direzione
indicataci da un filo a piombo) fino a incontrare perpendicolarmente la
linea dell'orizzonte dopo aver descritto un arco di 90 ° oppure il
cerchio di base può essere quello che passando attraverso la Via
Lattea la separa in due parti uguali (equatore galattico); in questo caso
tutti i meridiani passeranno per i poli galattici. Il sistema più
comunemente usato dagli astronomi consiste nelle coordinate equatoriali
celesti, ascensione retta e declinazione, utilizzate in quasi tutti i cataloghi
stellari per indicare la posizione degli astri. Esse sono in un certo senso
analoghe rispettivamente alla longitudine e alla latitudine geografica
e sono determinate in un sistema che si può considerare come la
proiezione sulla sfera celeste del sistema di riferimento che usiamo sulla
Terra. Se immagino di prolungare l'asse di rotazione terrestre fino a incontrare
il cielo, troverò due punti allo zenit dei poli terrestri; li indicherò
col nome di polo nord e polo sud celesti e tutti i meridiani tracciati
idealmente sulla sfera celeste in questo sistema di riferimento passeranno
per i due poli. Se poi immagino di estendere all'infinito in tutte le direzioni
il piano dell'equatore terrestre, determinerà sulla volta del cielo
un cerchio che chiamerò equatore celeste in maniera analoga potrò
successivamente tracciare tutti i paralleli celesti, che saranno la proiezione
sulla volta celeste dei paralleli terrestri. Ora,
per completare l’analogia con le operazioni compiute dai geografi,
resta da scegliere arbitrariamente fra tutti i meridiani quello che voglio
considerare come fondamentale (l'equivalente del meridiano di Greenwich).
Determinando con opportune osservazioni il moto apparente del Sole fra
le stelle per un anno intero, potrò tracciare sulla sfera celeste
una linea inclinata rispetto a tutti i cerchi fin qui disegnati. Questo
nuovo cerchio, che viene chiamato eclittica con evidente riferimento alle
eclissi, giace per metà sopra e per l'altra metà sotto l'equatore
celeste (non è assolutamente corretto parlare di "sopra e sotto"
in astronomia, ma anche dicendo "settentrionale e meridionale" si impiega
una convenzione simile e sicuramente meno intuitiva). L'eclittica, dunque,
interseca l'equatore celeste in due punti che si dicono equinoziali, perché
nei due giorni dell'anno in cui il Sole viene a trovarsi in tali punti
la durata del dì risulta uguale a quella della notte per ogni località
terrestre. Per essere precisi, il dì e la notte sarebbero uguali
se l'atmosfera della Terra non intervenisse a modificare le. osservazioni
allungando di alcuni minuti il periodo di permanenza del Sole al di sopra
dell'orizzonte, in ogni caso i giorni degli equinozi sono gli unici due
giorni dell'anno in cui il Sole illumina contemporaneamente i due poli
terrestri, mentre in tutti gli altri giorni illumina soltanto o l'uno o
l'altro polo. Nel suo moto apparente lungo l'eclittica, il Sole transita
per i punti equinoziali il 21 marzo (o il giorno prima) e intorno al 23
settembre di ogni anno: nel primo caso lo vediamo passare da sotto a sopra
l'equatore celeste, e in quello stesso giorno per gli abitanti dell'emisfero
boreale terrestre comincia la primavera. Gli astronomi antichi (che vissero
tutti nell'emisfero settentrionale) attribuirono a questo punto un'importanza
speciale e stabilirono che il meridiano passante per i due Poli celesti
e per questo punto equinoziale fosse il meridiano fondamentale nel sistema
di riferimento. Per completare l'argomento sarà opportuno aggiungere
che il punto equinoziale attraversato dal Sole in marzo viene indicato
con diversi nomi. Lo si designa talvolta semplicemente come "equinozio
di primavera", anche se il passaggio del Sole per questo punto segna l'inizio
dell'autunno per gli abitanti dell'emisfero terrestre australe; lo si indica
poi con il nome di "punto vernale", perché vernalis in latino vuol
dire primaverile; viene detto ancora "primo punto d'Ariete" perché
più di duemila anni fa si trovava nella costellazione zodiacale
dell'Ariete, mentre oggi è nei Pesci e fra non molti anni, a causa
del moto di precessione, entrerà nella costellazione dell'Acquario;
infine viene indicato come "punto gamma", perché il simbolo con
cui si rappresenta la costellazione dell'Ariete è abbastanza simile
alla lettera gamma dell'alfabeto greco minuscolo. Qualunque sia il nome
attribuito a questo punto equinoziale, resta il fatto che da questo punto
si contano le. coordinate equatoriali celesti: l'ascensione retta (analoga
alla longitudine geografica) si misura da O a 360 gradi, o più comunemente
da 0 a 24 ore, partendo dal meridiano passante per il punto gamma; la declinazione
(analoga alla latitudine terrestre) si misura da O a 90 gradi partendo
dall’equatore celeste e andando verso l'uno o l'altro polo; si indica col
segno positivo nell'emisfero celeste boreale, col segno negativo per i
punti dell'emisfero australe. Anche gli altri sistemi di riferimento usati
dagli astronomi richiedono convenzioni simili.
Bibliografia
B. Accordi, E. Lupia Palmier, M.Parrotto
Il globo terrestre e la sua evoluzione,
Zanichelli Bologna,1997
I.Neviani, C.Pignocchino Feyles,
Geografia Generale,
Sei Torino, 1998
Last Updated: Marzo-13-1998
Web Author:
Michele Sacchetti
Web Assistent : Giovanni Vaccari
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