La fisica di Aristotele ha un manifesto carattere platonico, anche se differisce in molti punti dalla fisica di Platone. L’intento generale che la sorregge è quello di spiegare, non solo come il mondo risulti costituito, ma perché esso risulti costituito proprio così e non possa essere in altra maniera. Si propone di pervenire ad una spiegazione dell’esperienza nella sua concretezza, ma considera l’esperienza qualitativa e non quantitativa. Aristotele cioè accetta la teoria di Empedocle dei quattro elementi ( aria, terra, fuoco, acqua) non tanto come corpi fisici, ma quanto come modi di essere.
Egli cerca di giustificare con argomenti a priori, perché gli elementi debbano essere proprio quattro.
La terra è l’elemento freddo e secco, che tende verso il basso; essa deve essere controbilanciata dal suo elemento contrario, il fuoco, che è caldo e secco, e tende verso l’alto. Fra essi devono esistere altri due elementi con funzioni mediatrici: l’acqua, fredda e umida, e l’aria, calda e secca. Anche l’acqua tende verso il basso, come ci viene provato dallo scorrere dei fiumi. L’aria invece tende verso l’alto, come vediamo dalle bolle d’aria contenute nell’acqua che vengono a galla. In base a queste teorie, il mondo sublunare risulta divisibile in quattro sfere: una più interna costituita di terra, e poi via via altre tre costituite ordinatamente di acqua, aria, fuoco. Queste sfere però non vanno intese in senso assoluto, perché già sappiamo che di fatto i quattro elementi non sono integralmente separati tra loro, ma anzi sono mescolati e proprio la loro mescolanza dà origine agli esseri corruttibili. Esse rappresentano soltanto dei "luoghi naturali", cioè quattro sfere verso cui ognuno dei quattro elementi tende spontaneamente a portarsi, non appena libero di muoversi.
Da questa teoria dei "luoghi naturali" Aristotele ricava che il moto naturale della terra e dell’acqua è verso il basso, mentre quello dell’aria e del fuoco è verso l’alto; aggiunge anzi (ed è uno dei più noti "errori" della sua fisica) che più un corpo è pesante, più grande dovrà essere la sua velocità di caduta. La teoria dei "luoghi naturali" gli serve pure a dimostrare (contro Anassagora e Democrito) l’unicità del mondo: secondo essa, infatti, ogni elemento di terra, di acqua, di aria, di fuoco tende naturalmente alla sua sfera e perciò nel globo sublunare devono essersi concentrate tutta la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco a disposizione dell’universo; non avanza quindi alcun residuo di tali elementi per formare altri mondi.
La polemica di Aristotele contro il vuoto è uno dei cardini della sua fisica, e pone in luce il carattere decisamente antidemocriteo di tutta la concezione aristotelica.
Democrito ha sostenuto che il vuoto è indispensabile per concepire il moto degli atomi?
Aristotele gli oppone che nel vuoto non è nemmeno possibile quello naturale! Nel vuoto infinito (cioè quello democriteo), egli spiega, non vi sarebbero infatti né un su, né un giù, ne alcuna direzione privilegiata, e quindi i corpi non saprebbero in qual senso dirigersi. Chè se poi un corpo si muovesse nel vuoto, non incontrando alcuna resistenza, come sostengono gli atomisti, esso dovrebbe muoversi con velocità infinita, e anche questo è assurdo. Dunque -conclude Aristotele- se esistesse il vuoto, i corpi dovrebbero restare in esso necessariamente fermi.
Nella sua fisica, Aristotele distingue quattro cause : la causa materiale, la causa efficiente, la causa formale e la causa finale.
Nel caso di un artista che scolpisce una statua, la pietra, che è la condizione di realizzazione dell’opera, è la causa materiale; gli strumenti per tagliare rappresentano la causa efficiente o motrice, che è di tipo tecnico; la causa formale si riferisce al progetto dello scultore, mentre la causa finale si manifesta nello scopo o nell’intenzione che presiede alla realizzazione della statua. La causa finale determina infatti le altre tre cause.
La fisica aristotelica ha per oggetto la sostanza, per chiarire la teoria della quale conviene riferirsi alle due coppie: materia-forma, potenza-atto. Esse traducono la relazione sostanza-accidente, nella quale il primo termine è quello che resta fisso (il soggetto) e il secondo quello che cambia (l’attributo). Non c’è materia in sé e non è possibile comprenderla se non come "correlativo": il legno è una materia per il tavolo. Il processo di fabbricazione segna il passaggio della più piccola determinazione della materia ad una determinazione più grande. La materia determinata corrisponde ad un materiale. Tuttavia, la materia non è completamente inerte, poiché è anche potenza. In questo senso, essa è il complemento necessario della forma, che pretende di realizzarsi di attualizzarsi.
Si riconoscono nella filosofia di Aristotele due potenze, di cui una si rifà alla materia (potenzialità) e l’altra alla forma (attualità). Si tratta nel primo caso della "potenza di subire un cambiamento", nel secondo di "potenza di farlo". La coppia potenza-atto è un presupposto assiologico e ontologico che Aristotele utilizza per spiegare la realtà del movimento. Per prima cosa non bisogna confondere la potenza con la semplice possibilità logica. Infine, il movimento deve essere ben considerato come un atto, ma imperfetto e incompleto: è l’ "atto di ciò che è in potenza".