Galileo Galilei il mago

Per giungere a nuove equazioni del moto bisogna arrivare all'epoca di Galileo Galilei (Pisa 1564 - Firenze 1642), il quale realizzò un nuovo modo di fare scienza, non più fondato sull'osservazione diretta della natura, ma sull'utilizzazione degli strumenti scientifici.
Così per mezzo del cannocchiale osservò che i quattro satelliti di Giove (che chiamò pianeti Medicei, in onore della potente famiglia dei Medici signori di Firenze), non ruotavano attorno alla terra, ma attorno a Giove. Ciò significava che non tutti i corpi celesti giravano attorno alla terra ferma al centro dell'universo.

Questa osservazione pubblicata da Galileo sulla rivista Siderus Nuncius (12 marzo 1610), così come altre osservazioni galileiane effettuate con il cannocchiale, - quali le macchie solari e la configurazione della Luna che non appariva come sfera liscia ma rugosa con monti e valli simili alla terra, e l'osservazione che Venere presenta delle fasi con variazioni di luminosità come la Luna - convinsero il grande scienziato pisano che non vi era una così netta distinzione tra mondo celeste, perfetto ed in movimento, ed il mondo terrestre, fermo ed imperfetto.

Cosa quindi non faceva collassare l 'universo sulla terra od altrove, se cielo e terra ubbidivano alle stesse leggi di caduta dei corpi?

Galileo osservò che la Via Lattea è una congerie di minutissime stelle sempre più lontane dalla terra. Da qui immaginò che muovendosi da stella a stella si potesse andare verso l'infinito... e quindi raggiungere il paradiso!

Tale immagine cambiava di molto la visione del mondo. Quando si supponeva l'esistenza di stelle fisse nel cielo, si pensava che tutte, grandi o piccole, ruotassero alla stessa distanza dalla terra.
Con le osservazioni sulla Via Lattea, Galileo comprese che le stelle più piccole della volta celeste potevano presentarsi così all'osservazione solo per il fatto di essere più lontane.

Da un universo racchiuso in uno spazio ciclico di dimensioni finite, ora il cielo appariva infinito.

Quali le conseguenze?

Il sole, ad esempio, poteva essere considerato la stella più vicina a noi, perché il più grande oggetto luminoso che vediamo nel cielo; infatti le dimensioni delle stelle osservate erano da considerarsi apparenti ma non reali; non potevano essere situate su una sfera alla stessa distanza dalla terra ed il sole era una delle tante stelle, non uno dei sette pianeti che si riteneva girassero attorno alla terra, i cui nomi indicavano i giorni della settimana: Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno e Sole. In inglese, ancora oggi, la domenica si traduce sunday = il giorno del sole.

Galileo allora suppose che coloro, non molti in verità, i quali avevano ritenuto che la terra si muovesse attorno al sole e girasse su se stessa, avessero ragione.

Tale conclusione modificava profondamente le leggi del moto.

Infatti per Aristotele come per Archimede, sulla Terra, in assenza di una forza non vi poteva essere movimento, solo in cielo il moto era naturale e perenne.

Per unificare concettualmente cielo e terra con una teoria del moto conseguente alle osservazioni sperimentali fatte con il cannocchiale, Galileo dovette introdurre il principio di inerzia: ammise che anche in relazione alla terra un movimento uniforme non ha bisogno di alcuna forza per mantenersi in moto e che di conseguenza l'intervento di una forza o di un attrito produce solo una variazione della velocità del moto.

Un corpo tende a mantenere all'infinito il suo stato di moto finché non intervengano forze che ne disturbino il moto frenandolo o deviandolo.

Aristotele ed i suoi seguaci ritennero assurdo che un oggetto inanimato possa muoversi senza una forza forzante che gli conferisce il movimento. Galileo ritenne invece che il moto alle cose fosse un dono divino concesso da Dio, a tutte egualmente. Ne consegui' che mentre prima il moto doveva essere causato da una forza vitale che imprimesse il suo impulso al movimento, altrimenti le cose sarebbero rimaste immobili, per Galileo il moto delle cose era naturale, ma era necessaria una forza motrice solo nel caso il moto fosse stato arrestato per attriti od altri impedimenti.

Per sostenere questo nuovo punto di vista sulle cause del moto, lo scienziato pisano fece notare sperimentalmente come una pallina che si muova in un piano inclinato acceleri spontaneamente se in discesa, e deceleri in salita; pertanto in assenza di attriti o di cause devianti si può vedere che un oggetto in movimento sul piano orizzontale si muove per inerzia di moto uniforme.

Il percorso mentale di Galileo fa ritenere quindi che tutte le cose si muovono perennemente, ivi compresa la terra, se non ci sono forze che le fermano o le accelerano e che quindi lo stato di quiete è una costrizione di un moto spontaneo, che risulta privo di velocità.

Da queste osservazioni deriva che il cielo non può cadere sulla terra, perché nel vuoto non ci sono forze adatte a fermare il moto delle stelle e dei pianeti: il moto per inerzia è un fenomeno originato dalle interazioni di ciascuna parte dell'universo con il tutto.

Inoltre Galileo pensò che non poteva essere vero, come ritenuto da Aristotele, che nel vuoto, in condizioni di resistenza nulla, gli oggetti potessero assumere una velocità infinita, osservazione questa ultuma che aveva fatto ritenere impossibile la esistenza del vuoto nello spazio.

Per dimostrare che l'equazione del moto di Aristotele relativa alla caduta dei gravi era falsa, Galileo sperimentò, pare dalla Torre di Pisa, che 10 chili di piombo non cadono più rapidamente di 5 chili di piombo, e aggiunse:
"Se infatti così fosse, allora un corpo intero cadrebbe più velocemente delle sue parti"

Quindi nel vuoto in assenza di forze che ne impediscano il moto, tutte le cose si muovono con una eguale velocità naturale (V) che non è infinita, ma relativa ad un tempo (T) che è proporzionale allo spazio' (S) percorso.

Per controbattere l'osservazione che la terra a noi appare ferma, Galileo fece presente che la nostra percezione del moto è relativa; noi non possiamo percepire altro che la variazione del movimento di un corpo rispetto ad un altro e cioè non siamo in grado di conoscere le velocità assolute dei corpi, proprio perché non abbiamo una percezione assoluta dei tempi e dello spazio.

Il tempo di un orologio infatti si controlla con quello di un altro orologio, così come la percezione del moto nello spazio è relativa alla costanza di un punto di riferimento.

Possiamo osservare il fenomeno della relatività della percezione del moto quando ad esempio ci troviamo su un treno ad una stazione e si ha l'impressione che parta il nostro treno, mentre osservando un punto immobile di riferimento si scopre che in realtà si muove un altro treno che parte sull'altro binario.

Da queste considerazioni finalizzate a dimostrare il perché noi percepiamo la terra come immobile, si ricava che l'equazione del moto di Galileo scritta in funzione delle velocità relative di due corpi in movimento assume la forma seguente:

V1/V2=S1/S2 X T2/T1

Guarda la figura

Le velocità dei due corpi sono direttamente proporzionali agli spazi percorsi ed inversamente proporzionali ai tempi di percorrenza.