STORIA GEOLOGICA DELLE COLLINE DI ROSANO

 

In Valdarno la zona collinare occupa il 33% del territorio. Questi terreni sono situati fra la pianura e i versanti montagnosi a cui si appoggiano alla quota di circa 300m con ampi ripiani soprattutto a Est e a Sud. Le colline sono basse ed hanno forme arrotondate, i pendii hanno pendenze intorno ai 15°, sono al limite della stabilità e sono interessati da frequenti fenomeni di scorrimento del suolo (soliflussione); falde acquifere si incontrano generalmente a profondità superiori a 100m, l'acqua da esse fornita è di qualità scadente; sono coperte generalmente da vegetazione erbacea.

I ripiani sono troncati da pareti verticali alte decine di metri (balze), falde acquifere si incontrano a modesta profondità (alcune decine di metri); sono coltivati a vigneto e oliveto specializzati.

In questa fascia territoriale i centri urbani sono localizzati sui ripiani in prossimità dell'appoggio ai versanti montagnosi.

LE COLLINE

Le argille e le sabbie stratificate ed inclinate del bacino minerario scompaiono, immergendo verso l'Arno sotto una spessa coltre di terreni più recenti rimasti orizzontali. Questi terreni formano la serie di colline che con dislivelli di oltre 100m e con quote di circa 250m si staccano nettamente dalla pianura. Essi occupano larga parte della fascia collinare e sono formati prevalentemente da argille e ciottoli con sabbie e, in misura minore, da sabbie.

Le argille hanno uno spessore massimo di 275m dei quali ne affiorano poche decine di m, sono plastiche, molto consistenti, azzurre nei tagli freschi e marrone nella zona superficiale di alterazione. Verso l'alto vi sono intercalate argille sabbiose giallo-marroni e, nella parte terminale, cordoni di ciottoli e tracce di suoli. Questi ultimi indicano che questi terreni durante la fase finale della loro deposizione rimasero esposti all'aria.

Il 27% di queste argille è costituito da particelle sabbiose (quarzo, feldsparti), il restante 73% da materiali argillosi. Di questi ultimi la clorite-vermiculite, l' illite e l' illite-vermiculite ne rappresentano oltre l' 85%.La loro composizione mineralogico-petrografica indica che esse sono derivate dal disfacimento di rocce frequenti nella zona del Mugello.

I versanti delle colline argillose (come quelle di Rosano) degradano sulla pianura con pendenze medie intorno ai 15°; sono al limite della stabilità e, in vari punti, sono stati messi in frana da sbancamenti al piede durante l' esecuzione di strade o edifici e dall' attività erosiva dell'Arno e di alcuni suoi affluenti.

Questi fenomeni sono molto intensi nei periodi di gelo e disgelo e nelle stagioni delle piogge che vi innescano movimenti franosi abbastanza estesi, ma interessanti sempre modesti spessori di terreno. Questi terreni sono scarsamente permeabili; la ricerca d'acqua è costosa e non sempre si conclude con successo. Livelli produttivi si incontrano quasi sempre a profondità superiori ai 100m e l' acqua che forniscono è quasi sempre torbida per la presenza di minerali argillosi in sospensione, da soli o mescolati a sabbie fini.

Più di un pozzo è stato abbandonato per la imprevista profondità a cui doveva essere spinto o per la pessima quantità dell'acqua rinvenuta. In qualche caso durante la trivellazione di pozzi si hanno emanazioni di metano.

La vegetazione è costituita per lo più da erbe (pascoli) e colture erbacee (cereali) che coprono gran parte di queste colline con un tappeto verde meno che nella stagione secca quando sfuma nel giallo.

IL CLIMA

Il clima della zona è di tipo sub-mediterraneo, concorrendo a questo carattere la posizione in latitudine (intorno ai 43°50'), la protezione che l' Appennino assicura contro le correnti fredde settentrionali e, infine, l' influsso mitigatore dei venti affluenti dal Tirreno lungo la valle dell' Arno.

In inverno si verificano spesso irruzioni di aria fredda (Tramontana) mentre in estate l' anticiclone del Mediterraneo crea condizioni di cielo prevalentemente sereno, appena interrotto da annuvolamenti temporaleschi (più frequenti nella seconda parte della stagione). Il carattere sub-mediterraneo è evidenziato dalle temperature: la media del mese più freddo (gennaio) è di 5° sopra lo zero mentre quella del mese più caldo (luglio) è di 24°, per una escursione termica annua di 19° ed una media totale di 14,5°.

Gli inverni, abbastanza miti, hanno un numero di brinate non eccessivo (30-40gg.); inoltre non solo la temperatura si mantiene sempre al di sopra dello zero, ma i giorni sotto i 10° sono molto pochi.

Si tratta di condizioni termometriche favorevoli per i boschi della zona, situati tutti su alture, terre poco adatte alle coltivazioni agricole, esposte minormente all'escursione termica giornaliera e ad un migliore scolo delle acque.

Il regime pluviometrico (si fa riferimento a dei dati del trentennio 1921-1950) è di tipo sublitoraneo-appenninico, cioè di transizione tra quello mediterraneo, con precipitazioni annue inferiori ai 900mm. e stagione secca ben marcata, e quello appenninico con oltre 1500mm. di pioggia: la quantità di acqua che complessivamente cade in un anno è di 1047 mm. Ma più importante della quantità è la distribuzione nel corso dell'anno: tra ottobre e dicembre cade il 35-37% di tutta l' acqua di un anno mentre l'unica stagione secca è l' estate (nei due mesi centrali estivi piove il 7-8% del totale annuo.

LA STORIA GEOLOGICA

I più imponenti fenomeni geologici si svolgono lentamente e in tempi molto lunghi sfuggendo perciò all' osservazione dell' uomo.

Gli avvenimenti geologici succedutisi in una regione rimangono in qualche modo registrati nelle rocce che vi affiorano. Se come in Valdarno sono di origine sedimentaria la registrazione è più ricca e nitida.

Studiando la disposizione, la costituzione e i fossili delle rocce di una regione è possibile ordinare in una successione logica nel tempo gli eventi geologici che l' hanno interessata e ricostruire così la sua storia geologica. Per questo sono stati utilizzati due idee fondamentali:

1)Il principio di sovrapposizione: in una serie di strati sovrapposti non rovesciati ogni strato è più recente di quello sottostante;

2)Il criterio paleontologico: le associazioni di fossili non si ripetono mai nel tempo poichè i fossili sono resti di organismi in continua evoluzione perciò si ritengono della stessa età gruppi di rocce contenenti le stesse associazioni di fossili.

I dati sul Valdarno possono essere elaborati in una successione che rappresenta la storia geologica della nostra regione.

L'inizio del Quaternario è fatto coincidere con l'inizio di un periodo di espansione glaciale che provocò un generale raffreddamento. Ciò determinò la scomparsa di piante e animali di clima caldo che furono sostituiti da specie di clima temperato.

Questo cambiamento si registra anche nel Valdarno, infatti qui sono stati ritrovati sia resti di piante e animali di clima subtropicali antecedenti il Quaternario che resti di specie di clima temperato, vissute durante il Quaternario.

Un altro elemento che testimonia il passaggio dall'Era terziaria a quella quaternaria nei territori del Valdarno è la "discordanza angolare" tra terreni plioceni e i terreni lacustri quaternari. Questa "discordanza" è data dal fatto che i terreni plioceni subito dopo la loro formazione furono interessati da movimenti e quindi risultano inclinati ,mentre gli strati dei sedimenti quaternari depostisi successivamente sono rimasti orizzontali e non sono quindi paralleli a quelli sottostanti.

LA VEGETAZIONE

La vegetazione attuale della Nave di Rosano non è che l' ultima delle combinazione botaniche che hanno coperto queste latitudini nel corso di qualche miliardo di anni. Durante le glaciazioni, gran parte della flora si perse, pertanto il subentrare di una fase climatica calda-secca provocò l' invasione di specie provenienti dall'Asia centrale. Altre fluttuazioni climatiche rivoluzionarono il clima, andando però smorzandosi fino a giungere ad una condizione climatica, relativa la periodo cristiano, simile alla nostra.

Accanto ai cambiamenti climatici, un altro fattore incise sulla flora: l' uomo.

Già nella preistoria l' uomo, dopo la scoperta del fuoco, iniziò ad intaccare l'ambiente naturale bruciando vaste zone di boscaglia per ottenere teneri germogli e piante pioniere utili come cibo e come esca per gli animali erbivori. Con l' introduzione delle tecniche agricole l' uomo cominciò a bruciare vaste aree boschive per ricavare spazio ai fini dell'agricoltura. Per questo l' uomo cominciò a operare una selezione sulle specie vegetali alla ricerca di quelle alimentari coltivabili e conservabili. Già dal neolitico si coltivavano alcune specie di cereali: frumento, orzo, miglio. Si conoscevano poi: la rapa, la cipolla, l'aglio; l' asparago, la fava, il lino, la lenticchia; il pero, il susino, il ciliegio. I progressi si intensificarono nei secoli soccessivi, con l' introduzione della coltivazione della segale, del panìco, dei piselli, dei ceci, del castagno, del noce, del fico, dell' ulivo e della vite.

Già 2000 anni fa gran parte del paesaggio naturale era stato trasformato: distrutte gran parte delle foreste mediterranee, bonificate vaste aree paludose, diffusa la coltivazione del castagno, dell' ulivo e della vite. Oggi, di naturale, rimane ben poco sia nelle aree coltivate sia nei boschi perché, anche in questi ultimi, viene adottata una forma di coltivazione che consiste nel tagliare periodicamente le piante, per far ricrescere i polloni. Inoltre, considerati gli interventi di rimboschimento e l' introduzione di nuove essenze arboree, l' aspetto naturale viene completamente stravolto dall' uomo. Il continuo intervento dell' uomo nelle bonifiche dei terreni palustri, nella cementificazione degli argini fluviali, nell' uso di diserbanti, nell' estendere le aree urbane ha portato una netta diminuzione delle specie spontanee sul nostro territorio.

Per millenni l'uomo ha cercato nel mondo vegetale nutrimento e cura, infatti durante l'Europa medievale l'uomo importò numerose specie botaniche dando vita alla nascita della botanica e degli orti botanici. Altri tipi di piante furono utilizzate per le tinture nel settore tessile.

Soprattutto nel periodo che va dal 1860-1960 c'è stata un notevole sviluppo della selvicoltura che in quest' area è stata condotta esclusivamente dalla proprietà privata.

Ciò ha portato ad un' inevitabile battuta d' arresto negli ultimi decenni: i lunghi tempi di crescita degli alberi sono ormai inconciliabili con la gestione economica delle aziende agrarie.

 

Valentina Nuzzo

Gioia Tanini

BIBLIOGRAFIA

GUIDA ALLA BOTANICA di Federico Sartini e Mario Mantovani

CONOSCERE IL VALDARNO di Giovanni Billi

IL POGGIO DELLE CARPINETE di Giacomo Certini