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LA LETTERATURA DEI BISNONNI
Le avventure di Pinocchio.
Storia di un burattino.
Carlo Collodi (1826-1890) |
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"[...]e quando tornò aveva
in mano l'Abbecedario per il figliolo, ma la casacca non l'aveva più. [...]Pinocchio con
il suo bravo Abbecedario, nuovo sotto il braccio, prese la strada che menava a scuola[...]
E discorrendo da solo diceva:
-Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere, e
domani l'altro imparerò a fare i numeri[...] per comprarmi i libri e farmi istruire è
rimasto in maniche di camicia... con questi freddi! Non ci sono che i babbi, che siano
capaci di certi sacrifici...-
[...]Mentre tutto commosso diceva così, gli parve di sentire in lontananza una musica di
pifferi e di colpi di grancassa[...]
-Che cosa sarà questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no[...]
Ad ogni modo, bisognava
prendere una risoluzione; o a scuola, o a sentire i pifferi.
E attratto dal Gran Teatro dei Burattini rivendette il libro compratogli da Geppetto.
-Vuoi darmi quattro soldi di quest'Abbecedario nuovo?- (Cap.VIII-IX) |
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" -L'ozio
è una bruttissima malattia, e bisogna guarirla subito, fin da ragazzi: se no, quando
siamo grandi non si guarisce più. Io studierò, io lavorerò [...] perché la vita del
burattino mi è venuta a noia[...]-
Il giorno dopo Pinocchio andò alla scuola comunale. Figuratevi quelle birbe di ragazzi
[...] Chi gli levava il berretto di mano; chi gli tirava il giubbettino di dietro; chi si
provava a fargli con l'inchiostro due grandi baffi sotto il naso, e chi si attentava
perfino a legargli dei fili ai piedi e alle mani per farlo ballare".
Pinocchio si difese con calci e gomitate e così:
"Acquistò subito la stima e la simpatia di tutti i ragazzi di scuola [...]
e anche il maestro se ne lodava perché lo vedeva attento, studioso, intelligente, sempre
il primo ad entrare nella scuola, sempre l'ultimo a rizzarsi in piedi, a scuola finita. Il
solo difetto che avesse era quello di bazzicare troppi compagni: e fra questi c'erano
molti monelli[...]
- Non ti vergogni a mostrarti tutti i giorni così preciso e così diligente alla lezione?
Non ti vergogni a studiar tanto, come fai?[...] Ci costringi a fare una brutta figura col
maestro, perché gli scolari che studiano fanno sempre scomparire quelli che non hanno
voglia di studiare[...] Devi prendere a noia, anche tu, la scuola, la lezione e il
maestro, che sono i nostri tre grandi nemici[...]-"(Cap.XXIV)
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Cuore, di Edmondo De Amicis (1846-1908),
è il diario di Enrico, un ragazzo di dodici anni, che, durante un intero anno scolastico,
racconta le sue impressioni sugli avvenimenti giornalieri e raccoglie le lettere, che i
genitori gli scrivono per farlo riflettere.
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"Sì, caro Enrico, lo studio
ti è duro[...] pensa un po' che misera, spregevole cosa sarebbe la tua giornata se tu non
andassi a scuola! [...] Tutti, tutti studiano ora, Enrico mio. Pensa agli operai che vanno
a scuola la sera dopo aver faticato tutta la giornata; alle donne, alle ragazze del popolo
che vanno a scuola la domenica, dopo aver lavorato tutta la settimana[...] Pensa agli
innumerevoli ragazzi che presso a poco a quell'ora vanno a scuola in tutti i paesi[...]
parlanti in mille lingue, dalle ultime scuole della Russia quasi perdute fra i ghiacci
alle ultime scuole dell'Arabia[...] milioni e milioni, tutti ad imparare in cento forme
diverse le medesime cose; immagina questo formocolìo di ragazzi di cento popoli, questo
movimento immenso di cui fai parte, e pensa:
-Se questo movimento cessasse, l'umanità ricadrebbe nella barbarie; questo movimento è
il progresso, la speranza, la gloria del mondo[...]-"
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