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AI TEMPI DEI

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Nell'Europa di fine 800 l'istruzione era appannaggio della nobiltà aristocratica, della borghesia e dell'alto clero, mentre  il popolo doveva solamente imparare a leggere, scrivere e contare.
All'inizio del '900 il liberalismo borghese, il socialismo popolare e il movimento cattolico continuano a concepire l'obbligo scolastico come occasione per
"assicurare il minimo di istruzione a tutti".
Agli albori del XX secolo la situazione scolastica italiana si presenta in ritardo rispetto al resto del vecchio continente:
- nel 1901 gli analfabeti rappresentano il 48,5% della popolazione;
- solo il Portogallo, l'Ungheria e la Russia spendono per l'istruzione meno dello Stato italiano.
Intanto, la durata dell'istruzione obbligatoria viene:
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limitata ai primi due anni di scuola elementare secondo la legge Casati del 1859;
- estesa a tre anni dalla legge Coppino nel 1877, che prescrive ai Comuni l'apertura di scuole serali e di scuole festive per i fanciulli
Sono anni in cui l'economia italiana è ancora prevalentente rurale e, nei centri urbani, il ceto operaio deve fare i conti con bassi salari.
L'esigenza di impegnare i figli nei lavori agricoli e domestici, conduce molte famiglie a ritenere la scuola un "lusso", nonostante che nel 1886 una legge vietasse il lavoro minorile fino al nono anno d'età, fino al decimo nelle miniere e durante le ore notturne.
Per quanto riguarda la prosecuzione degli studi dopo l'istruzione di base, agli inizi del XX secolo nella scuola c'è una tripartizione sociale e formativa:
- classica per la classe dirigente;
- tecnica per il ceto piccolo-borghese;
- professionale per i lavoratori.

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