La rivoluzione dei trasporti e le sue conseguenze sociali
Le trasformazioni del territorio
Un contributo di primaria importanza all'efficienza del trasporto stradale fu fornito, alla fine del XIX secolo, dall'avvento della motorizzazione nel settore. Le tramvie elettriche fecero la loro comparsa in Francia e Germania negli anni novanta e negli altri paesi europei nei primi anni del secolo successivo. Dopo la prima guerra mondiale, gli autobus iniziarono a sostituire gradatamente tram e filobus a motivo di minori costi di esercizio e della maggiore flessibilità. Il motore a combustione interna consentì di risolvere i problemi posti da quello elettrico. Nel 1883 Daimler brevettò il suo progetto di motore a combustione interna veloce e leggero. Tra i primi fabbricanti di automobili molti provenivano dal settore meccanico.Benchè molti progressi tecnologici fossero stati realizzati in Germania, nel periodo precedente la prima Guerra mondiale fu la Francia a occupare il primo posto nella classifica dei produttori automobilistici europei, con 45000 veicoli nel 1913, seguita da Gran Bretagna con 34000, Germania con 23000 e Italia con 8000. La diffusione della motorizzazione privata stimolò l'ampliamento della rete stradale e in particolare delle autostrade, nella cui costruzione l'Italia ebbe una posizione pionieristica sin dal 1923. Negli anni Trenta, la Germania costruì una complessa rete autostradale a doppia carreggiata e manto in cemento; scelta che faceva parte integrante della politica di motorizzazione hitleriana unitamente alla diffusione dell'auto privata. In linea di principio la motorizzazione avrebbe dovuto risultare ancora più imponente in occasione della seconda Guerra mondiale che nella prima; ma il timore da parte della Germania di scarsità di carburante la portò a puntare ancora sulle locomotive a vapore. La produzione francese si ridusse drasticamente durante l'occupazione tedesca, e quella italiana venne messa in difficoltà da bombardamenti aerei, scioperi e scarsità di materiali. La ricostruzione postbellica fu più rapida in Gran Bretagna, in seguito al minor danno complessivo dei bombardamenti, e in Unione Sovietica, grazie alla confisca degli impianti di produzione automobilistica tedeschi e autriaci. Ciò nondimeno, furono Germania e Italia a registrare in definitiva i maggiori successi dell'industria automobilistica in epoca postbellica.
L'enorme espansione della produzione automobilistica e dei veicoli per uso privato, registratasi nell'Europa del dopoguerra, può essere illustrata dal fatto che le prime 4 nazioni europee registrarono un incremento di produzione da 1,57 milioni di veicoli nel 1950 a 11,67 milioni nel 1973, arrivando così a superare per la prima volta la produzione statunitense nel 1970. La diffusione dei veicoli per uso privato incrementò gli investimenti nelle infrastrutture. La Germania ampliò la propria rete autostradale a partire dal 1957; la Gran Bretagna cominciò a costruire autostrade immediatamente dopo e fu ben presto imitata da molti altri paesi. L'ampliamento delle infrastrutture favorì lo sviluppo del trasporto su ruota sulla lunga distanza.
Gli ampliamenti della rete stradale effettuati nel XIX secolo ebbero una limitata azione di stimolo sull'attività economica; richiesero infatti una limitata quantità di capitale e di materiali, mentre il lavoro fu assicurato perlopiù da diseredati o da prestazioni di tipo obbligatorio. Lo stimolo dell'industria motoristica riguardò pochissime industrie e regioni; in sostanza le industrie dell'acciaio, della gomma, dell'alluminio e dei sistemi elettrici, per le quali gli autoveicoli costituirono un buon motivo per produrre e investire, e quindi un incentivo a rinnovarsi tecnologicamente.
Solo nel secondo dopoguerra l'industria degli autoveicoli assume appieno il ruolo di settore guida: in termini di rapidità di crescita, di dimensioni e di interconnessioni. Negli anni Cinquanta e Sessanta la crescita dell'industria motoristica superò quella del prodotto interno lordo in Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania occidentale.
Il più importante collegamento operativo delle innovazioni nel trasporto si realizzò con le industrie produttrici di fonti di energia. I miglioramenti dell'efficienza dei motori comportarono una riduzione del consumo di carbone, compensata però dall'espansione del naviglio a vapore. Nel 1914 la domanda di carburante proveniente dai settori del trasporto marittimo e stradale aveva già cominciato a indirizzarsi verso i sottoprodotti del petrolio. La maggior parte dei paesi europei dovettero importare petrolio, nonostante Russia e Romania ne fossero state a lungo importanti produttrici; come lo saranno del resto Gran Bretagna e Norvegia a partire dagli anni Ottanta in seguito alle trivellazioni nel Mare del Nord. Queste scoperte, unitamente al miglioramento degli autoveicoli in termini di minor consumo di carburante, hanno diminuito l'impatto deflazionistico dell'aumento dei prezzi petroliferi.
Quando il treno non c'era ancora, gli uomini viaggiavano a cavallo o in carozza, e il mondo sembrava più grande. In queste condizioni, ogni viaggio era un'avventura. Nel 1551 il conte di Grignan andò da Parigi a Lione e impiegò 18 giorni: media, 25 chilometri al giorno. Nel 1601 Maria de' Medici si recò da Parigi a Fontainebleau: due giorni, ossia 30 chilometri al giorno. Per quanto strano ci sembri, realizzare una media fra i 30 e i 40 chilometri al giorno esige tutto un sistema di mezzi che è insieme materiale e umano. Si constata che, nei paesi meno popolati dell' Europa orientale, gli spostamenti erano ancora meno rapidi. Si può citare ad esempio il viaggio compiuto nell' anno 1600 da un certo Anthony Sherley: partì da Mosca dopo il disgelo, cioè non appena le strade erano ridiventate praticabili verso la fine di giugno, arrivò a Praga
l'11 ottobre: un centinaio di giorni per circa 2000 chilometri, 20 chilometri al giorno.
Il turismo decolla nei primi decenni dell'Ottocento, con un'offerta crescente di svaghi e di divertimenti di ogni genere, nel cui ambito il viaggio si afferma come una delle forme più apprezzate. Il grande sviluppo del turismo è in primo luogo condizionato dai nuovi strumenti tecnologici e commerciali che trasformano le possibilità di accedere al viaggio.
Questo apparato tecnico-commerciale è inscindibile da mezzi di trasporto, quali ferrovia e navigazione a vapore, e da mezzi di comunicazione come il telegrafo, che fanno la loro comparsa nella prima metà del XIX secolo. Nonostante la notevole espansione, in Europa il turismo restava un piacere riservato a pochi privilegiati; per la maggioranza della popolazione era infatti un lusso inaccessibile
Nel periodo compreso tra le due guerre, il turismo viene fatto rientrare in progetti di società che gli assegnano funzioni e ruolo specifici, in ordine all'organizzazione e al controllo del tempo libero delle masse. Fu l'Italia fascista a inaugurare questa politica. Nel 1925, Mussolini crea l'Opera Nazionale Dopolavoro, cui viene demandato il compito di organizzare lo svago dei lavoratori italiani e, in particolare, le loro vacanze. All'indomani della seconda Guerra mondiale, aumento dei redditi e generalizzazione delle ferie retribuite, unitamente alla moltiplicazione dei mezzi di trasporto e all'affermazione di nuovi modelli culturali, conferiscono al turismo una dimensione di massa. Sotto il potente stimolo della pubblicità, si assiste a un'espansione soprattutto quantitativa, ma i cambiamenti riguardano anche le strutture, le relazioni della produzione, della distribuzione e del consumo. Lautomobile ha rivoluzionato l'accesso al viaggio. Nel 1951, il 65% di coloro che si recano in vacanza si serve ancora del treno; nel 1990 il metodo di trasporto utilizzato é l'automobile (57%), seguito da aereo (22,5%), autobus (9,2%), treno (8,4%).La costruzione di reti autostradali transeuropee facilita le partenze. Il successo dell'automobile lo si deve alle possibilità di individualizzazione che offre, più che alla velocità o al costo. L'automobile ha moltiplicato le partenze, ma ha nello stesso tempo trasformato qualitativamente il turismo. Ha consentito sia il raggiungimento di nuove destinazioni, sia lo sviluppo di forme più economiche di turismo (campeggio, camper e roulotte, ecc.).
Il turismo di massa ha delle notevoli ripercussioni sull'ambiente fisico, geografico e umano. Accanto agli effetti inquinanti dovuti alla mobilità delle persone, il turismo ha ampiamente contribuito al degrado di numerose località, allo squilibrio degli ecosistemi, alla distruzione dei suoli, al sovraccarico di certe zone, alla scomparsa della fauna, alla mutazione del paesaggio, ecc.Il turismo distruttore ha contribuito al risveglio della coscienza ecologica ma ha anche chiamato in causa le politiche dello sviluppo. I paesi mediterranei si sono impegnati in particolare in un'opera di recupero del litorale, congelando la costruzione di alberghi e imponendo una severa regolamentazione. Nelle Alpi è iniziata la limitazione delle aree sciistiche. Il Consiglio d'Europa ha emanato delle raccomandazioni in tal senso, mentre la Comunità europea concentra il suo impegno sullo sviluppo di un turismo "dolce": agriturismo, forme di turismo alternativo o responsabile, vacanze fuori stagione. Il problema dell' inquinamento è strettamente collegato all'aumento demografico e all'aumento della popolazione, e ha incominciato ad assumere proporzioni preoccupanti a partire dagli anni Sessanta, interessando soprattutto l'atmosfera e le acque. L'inquinamento atmosferico è l'insieme di processi naturali o conseguenti all'attività umana che alterano la composizione dell'atmosfera su una zona più o meno vasta. Quello più dannoso è causato dall'uomo: gli impianti di riscaldamento, gli scarichi dei mezzi di trasporto, i fumi prodotti dalle industrie immettono nell'atmosfera ogni anno un numero elevato di metri cubi di gas, concentrati in massima parte nei centri urbani e industriali.