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Il rene artificiale

 

Quando i reni sono cosi` ammalati da non funzionare più questa macchina può salvare la vita depurando il sangue al posto di questi organi. Il destino dei malati di insufficienza renale era segnato: si gonfiavano progressivamente, avevano sempre il mal di testa e il vomito, entravano in uno stato di torpore sempre più profondo fino a passare al coma vero e proprio, da cui non si risvegliavano più. Oggi invece nessuno muore più di insufficienza renale terminale. Grazie a Willem Kolff, un giovane medico olandese, negli anni quaranta si studiò la possibilità di estrarre artificialmente dal sangue le sostanze tossiche in esso disciolte, successivamente grazie ai suoi studi fu possibile iniziare la produzione industriale del primo efficiente rene artificiale. Cominciò così l’era della emodialisi. Il principio di funzionamento del rene artificiale si basa sul fatto che se due soluzioni a concentrazione differente vengono messe a contatto l’una con l’altra, separate solo da una sottile membrana (detta anche "semipermeabile" ) che lascia passare solo le più piccole fra le sostanze disciolte, tale passaggio può effettivamente avvenire, specialmente se si applica una leggera pressione sulla soluzione più concentrata o una depressione altrettanto leggera su quella meno concentrata. Sfruttando questo principio si può depurare il sangue, sostituendosi all'azione del rene, facendolo circolare fuori dal corpo accanto ad una soluzione "pulente" e separato da essa da una membrana semipermeabile.

  

Le parti della macchina.

 La macchina vera e propria è formata da tre componenti essenziali:

 Un sistema di tubi che permette il trasferimento del sangue del paziente all'unità membrana e viceversa.

 L'unità membrana stessa, dove il sangue e il liquido da dialisi circolano separati solo dalla semipermeabile. (Realizzata con acetato di cellulosa, simile al cellofan).

 Un sistema per rifornire l'unità membrana di liquido da dialisi fresco e allontanare quello usato.

Il liquido necessario può essere preparato ( nella misura di circa 120 litri ) prima di dare inizio al trattamento, oppure appena prima dell'invio all'unità membrana man mano che l'emodialisi prosegue.

I maggiori progressi sono stati fatti nell'unità membrana, che oggi è sempre del tipo usa e getta. Ne esistono di tre tipi, accomunati dall'esigenza di esporre al contatto reciproco la maggiore superficie di sangue e liquido da dialisi, pur restando in uno spazio ragionevolmente limitato.

I dializzatori tipo -Coil- hanno forma cilindrica; la membrana semipermeabile, che ha la forma di una tubazione appiattita avvolta a spirale, è percorsa all'interno dal sangue ed è lambita all'esterno dal liquido da dialisi .

I dializzatori a piastre sono formati da fogli di cellofan sigillati ai margini; il sangue passa a senso unico tra i fogli, mentre il liquido da dialisi passa esternamente.

I dializzatori oggi più usati sono quelli a fibre cave. Essi sono composti da un fascio di sottilissimi tubicini di cellulosa nei quali circola il sangue, mentre il liquido da dialisi viene fatto circolare, contro corrente, all'esterno.

Per quanto riguarda il liquido da dialisi, la sua composizione è quasi standard: contiene glucosio, sodio e cloro, una quantità minore di acetato e tracce di potassio, calcio e magnesio. Le possibili implicazioni del trattamento non sono poche né lievi: vanno dal calo della pressione per eccessiva sottrazione di liquidi, alle emorragie dovute agli anticoagulanti, all'eccessiva perdita di potassio, alle embolie, ai malesseri dovuti a squilibrio fra i sali minerali del sangue.

Nei malati con meno di 65 anni, la dialisi è quasi sempre l'anticamera del trapianto; molte persone riescono in parte a conservare un'accettabile qualità della vita.

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