THE TRIAL
(Il processo, 1962)
Regia : Orson Welles;
sceneggiatura e dialoghi : Orson Welles, dal romanzo omonimo di Franz Kafka;
fotografia : Edmond Richard;
scenografia : Jean Mandaroux, con la collaborazione di Jacques d'Ovidio, Jacques Brizzio, Pierre Tyberghien, Jean Bourlier;
costumi : Hélène Thibault;
suono : Guy Villette, Julien Coutellier;
musica e arrangiamenti : Jean Ledrut;
leitmotiv : "Adagio" di Tomaso Albinoni;
montaggio : Yvonne Martin con la collaborazione di Chantal Delattre, Denise Baby, Gérard Pollican, Fritz Mueller;
mixage : Jacques Lebreton;
aiuto registi : Marc Maurette, Paul Seban, Sophie Becker;
prologo su "L'Ecran d'épingles" : Alexandre Alexeieff e Claire Parker.

Personaggi e interpreti : Anthony Perkins (Joseph K), Jeanne Moreau (Mlle Burnstner), Elsa Martinelli (Hilda), Romy Schneider (Leni), Suzanne Flon (Miss Pittl), Madeleine Robinson (Mme Grubach), Orson Welles (l'avvocato, Hastler), Akim Tamiroff (Bloch), Arnoldo Foà (l'ispettore), Fernand Ledoux (il capo cancelliere), Maurice Teynac (il sottodirettore), Billy Kearns (sottoispettore n 1), Jess Hahn (sottoispettore n 2), Raoul Delfosse (primo impiegato), Wolfgang Reichmann (l'usciere), Thomas Holtzmann (Bert, lo studente), Maydra Shore (Irmie), Max Haufler (lo zio Max), Michael Lonsdale (il prete), Max Buchsbaum (il giudice), Karl Studer, Jean-Claude Remoleux, William Chappell, Claudine Maugé, Paola Mori e la voce di Orson Welles (il narratore).

Produzione : Francia-R.F.T.-Italia, A Mercury Production by Orson Welles per Paris Europa Productions (Parigi), Hisa-Films (Monaco), Fi-C-It (Roma);
produttori : Yves Laplanche, Alexandre e Michel Salkind;
direttore di produzione : Robert Florat;
riprese : Studio di Boulogne (Paris) e Gare d'Orsay (Parigi) per gli interni, e in Jugoslavia e Italia per gli esterni (dal 26 marzo al 5 giugno 1962);
prima : 21 dicembre 1962 (Parigi);
durata : 120 minuti.


NOTE AL FILM

"Il protagonista di THE TRIAL è un piccolo borghese, io lo considero come colpevole. Appartiene a qualcosa che rappresenta il male e che, nello stesso tempo, fa parte di lui. Non è colpevole di ciò che gli si rimprovera, ma è colpevole lo stesso: egli appartiene a una società colpevole, collabora con essa.
Non lotta, dovrebbe forse farlo, ma non prende posizione nel mio film. K collabora tutto il tempo. Nel romanzo di Kafka anche. Io gli permetto solamente di sfidare i suoi carnefici, alla fine.
(...) Credo che si tratti di una specie di balletto scritto da un intellettuale ebreo prima di Hitler. Dopo la morte di sei milioni di ebrei, Kafka non direbbe più questo. Mi sembra sia un pre-Auschwitz. Io non voglio dire che il finale del mio film sia buono, ma era la sola soluzione. Avevo bisogno di passare a una velocità superiore, anche se era solo per pochi istanti.
Ho reso il mio personaggio più attivo di quanto non fosse nel romanzo. Io non credo che i personaggi passivi siano utili al dramma. Io non ho niente contro Antonioni, per esempio, ma, per interessarmi, i personaggi devono fare qualcosa. Dal punto di vista drammatico, s'intende.
(...) E' vero, in THE TRIAL io mi ripeto. Credo che lo facciamo tutti. Riprendiamo sempre certi elementi. Come evitarlo? Un attore ha sempre lo stesso timbro di voce e, per conseguenza, si ripete. Ci sono sempre certe cose che ritornano, esse fanno parte della sua personalità, del suo stile.
Non è nelle mie intenzioni ripetermi, ma, nel mio lavoro, devono esserci certamente dei punti di riferimento di ciò che ho fatto nel passato. Potete dire quel che volete ma THE TRIAL è il miglior film che abbia mai fatto. Ci si ripete quando si è stanchi. Ora, io non ero stanco. Non sono mai stato tanto felice come quando ho girato il film.
(...) Il cinema è ancora troppo giovane, e sarebbe ridicolo non riuscire a trovare per lui nuove cose. Se soltanto potessi fare più film! Sapete come sono arrivato a fare THE TRIAL? Quando mancavano due settimane dalla partenza da Parigi per la Jugoslavia, ci hanno detto che non era il caso di costruire lì una sola scena poiché il produttore aveva già fatto un altro film in Jugoslavia e non aveva pagato le sue spese. E' per questo motivo che abbiamo dovuto utilizzare quella stazione fuori servizio (la Gare d'Orsay, n.d.r.). Avevo progettato un film completamente diverso.
Tutto fu inventato all'ultimo minuto, perché il mio film, fisicamente, era del tutto diverso nella sua concezione. Era fondato sull'assenza assoluta della scenografia. E questo gigantismo nelle scenografie che mi si è rimproverato è dovuto in parte al fatto che non avevo a disposizione per set che questa vecchia stazione abbandonata. Una stazione ferroviaria che è vuota, è immensa. La produzione comprendeva all'inizio delle scene che scomparivano gradualmente. Il numero degli elementi realistici doveva diminuire un po' per volta, e il pubblico lo percepiva, fino a che la scena doveva ridursi allo spazio vuoto, come se tutto si fosse dissolto".
(Orson Welles, 1964)

"Una sera ad Amburgo, ci sono tre spettatori in sala. Lo spettacolo comincia. Orson Welles entra in scena e si presenta: autore, compositore, attore, scenografo, direttore di scena, regista, saggio, finanziere, buongustaio, ventriloquo, poeta. Poi si meraviglia di essere venuto così numeroso mentre loro sono così pochi.
Senza dubbio THE TRIAL dimostra che non è facile per un wonder kid invecchiare bene, e si può temere che le sue ali di gigante impediscano al nostro albatro scespiriano di marciare sulla vecchia Europa. Eppure, maledetti noi se dimentichiamo per un attimo che è il solo con Griffith - chi il muto, chi il parlato - ad aver messo in moto questo meraviglioso trenino elettrico al quale Lumière non credeva. Tutti, sempre, gli dovremo tutto".
(Jean-Luc Godard, 1968)

" THE TRIAL si riallaccia a Mr. Arkadin. In quale falda di passato il protagonista cercherà la colpa di chi è colpevole? Non vi è nulla di evocabile, tutto è allucinatorio. Personaggi fossilizzati e statua rubata. Vi è la regione delle donne, la regione dei libri, quella dell'infanzia e delle bambine, quella dell'arte, quella della religione. Il presente è ormai una porta vuota a partire dalla quale non si può più evocare il passato perché questo è già uscito mentre lo si aspettava.
In questi campi lunghi, di cui Welles possiede il segreto, sarà esplorata ogni regione del passato, ad esempio la lunga corsa in un graticcio allungato, mentre il protagonista è inseguito da una schiera di bambine urlanti
... Ma le regioni di passato non rivelano più immagini-ricordo, liberano presenze allucinatorie: le donne, i libri, le bambine, l'omosessualità, i quadri. In tutto questo però si direbbe che certe falde hanno ceduto, altre si sono alzate di modo che, come in archeologia, qui o là si sovrappongono un'età o un'altra. Niente è più decidibile: le falde consistenti giustappongono ora i loro segmenti...
Se Welles ha affrontato Kafka con successo è perchè ha saputo mostrare come regioni spazialmente distanti e cronologicamente distinte comunicavano tra loro, in fondo a un tempo illimitato che le rendeva contigue: a questo serve la profondità di campo, i casi più distanti comunicano direttamente nel fondo. Ma qual è questo fondo comune a tutte le falde, da cui emergono e dove ricadono sbriciolandosi? Qual è questa superiore giustizia, di cui tutte le regioni sono soltanto l'ausiliario".
(Gilles Deleuze, 1985)

"Ricordo perfettamente il montaggio di una sequenza molto complessa, che era quella del processo vero e proprio, dove il materiale era infinito. Aveva girato da moltissimi punti di vista inquadrature diverse tra loro, ma tutte che sostanzialmente esprimevano una diversa emozione visiva.
Intorno a un nucleo, un fulcro che era l'arringa di Kane, si poteva montare in alternanza qualunque altro dei piani che lui aveva girato, che poteva essere la galleria, o la platea, o la platea vista dal basso, o lui visto da lontano, o la porta che si chiude, una cosa a distanza o la stessa cosa vista più stretta. C'erano talmente tante alternative che non poteva non essere intenzionale il fatto che Orson avesse girato così tanto materiale".
(Roberto Perpignani)


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