MACBETH
(Macbeth, 1947-48)
Regia : Orson Welles;
sceneggiatura : Orson Welles dalla tragedia di William Shakespeare;
fotografia : John L. Russel;
operatore 2^ unità : William Bradford;
scenografia : Fred Ritter con la collaborazione di John McCarthy Jr, James Redd;
costumi : Orson Welles, Fred Ritter (per gli uomini), Adele Palmes (per le donne);
trucco : Bob Mark;
suono : John Stransky Jr, Garry Harris;
musica : Jacques Ibert;
direzione musicale : Efrem Kurtz;
montaggio : Louis Lindsay;
aiuto regia : Jack Lacey;
effetti speciali : Howard Lydecker, Theodore Lydecker.

Personaggi e interpreti : Orson Welles (Macbeth), Jeanette Nolan (Lady Macbeth), Dan O'Herlihy (Macduff), Edgar Barrier ( Banco), Roddy McDowall (Malcolm), Erskine Sanford (Duncan), Alan Napier (il prete), John Dierkes (Ross), Keene Curtis (Lennox), Peggy Webber (Lady Macbeth e una strega), Lionel Braham (Siward), Archie Heugly (il giovane Siward), Christopher Welles (il giovane figlio di Macduff), Brainerd Duffield (primo assassino e una strega), William Alland (secondo assassino), George Chirello (Seyton), Gus Schilling (il portiere), Jerry Farber (Fleance), Lurene Tuttle (una dama d'onore e una strega), Charles Lederer (una strega), Robert Alan (terzo assassino), Morgan Farley (un medico).

Produzione : USA, A Mercury Production by Orson Welles per Republic Pictures (Hollywood);
produttore esecutivo : Charles K. Feldman;
produttore associato : Richard Wilson;
riprese : in un teatro di posa della Republic (23 giorni dell'estate 1947, dopo quattro mesi di prove);
prima : 7 ottobre 1948;
durata : 107 minuti.


NOTE AL FILM

"Uno dei motivi maggiori di Shakespeare è che i suoi personaggi più interessanti hanno tutti una moralità da diciannovesimo secolo, sono tutti dei traditori. Amleto è, senza dubbio, un traditore perché si augura di uccidere suo zio senza permettere che la sua anima venga salvata.
Guardate con quanto piacere descrive l'omicidio di Rosencrentz: è un traditore. E ha un bell'essere tutt'altro Shakespeare, l'uomo del Rinascimento e tutto quello che è stato scritto sul suo conto: nondimeno è un farabutto".
(Orson Welles, 1958)

"Il Macbeth di Orson Welles è un film maledetto, nel senso nobile del termine. Lascia gli spettatori sordi e ciechi, e credo proprio che le persone che lo apprezzeranno (alle quali io mi vanto di appartenere) siano molto poche. Welles ha girato assai in fretta questo film, dopo innumerevoli prove.
Vale a dire che voleva preservargli il proprio stile teatrale, cercando di provare che il cinema può mettere la sua lente su tutte le opere e disprezzare il ritmo che si immagina essere quello del cinema. Il Macbeth di Welles ha una forza selvaggia e disinvolta.
Con il capo coperto di corna e di corone di cartone, vestiti di pelli come i primi automobilisti, gli eroi del dramma si muovono nei corridoi di una specie di metropolitana di sogno, in scantinati distrutti dove l'acqua gocciola, in una miniera abbandonata. Nessuna ripresa è casuale. La cinepresa si trova sempre piazzata in luoghi da dove l'occhio del destino segue le proprie vittime".
(Jean Cocteau, 1950)

"Da tempo sosteneva che si poteva girare Shakespeare cavandosela con poco, a condizione di preparare minuziosamente la realizzazione con lunghe prove e girando quasi tutto di seguito, quando gli attori padroneggiassero a fondo le loro parti e i loro movimenti, con un'accurata regolazione delle luci.
Insomma, quello che Welles stava per inventare avanti lettera, e senza che allora si fosse in grado di accorgersene, era la tecnica di regia televisiva".
(André Bazin, 1950)

"Orson Welles dimostra una particolare predilezione per le grosse parti: ha interpretato Macbeth, facendone un capolavoro di umorismo involontario, si appresta a interpretare Otello e non possiamo escludere che arriverà a Enrico VIII, a Quasimodo, al dottor Mabuse.
Poiché i suoi personaggi appartengono a quella categoria che mangia il pollo con le mani non per maleducazione, ma per eccesso di carattere, per prepotenza di immaginazione e di volontà. Proprio il genere di personaggi che riescono ad annoiarci, tanto da ritenere che le loro intemperanze non provengono da un dibattito aperto col Destino, ma da un eccessivo sviluppo (curabile) della tiroide.
Acconciato nei panni di Macbeth, non gli interessa che cosa dice e quale dramma sta vivendo, gli preme meravigliare il pubblico: come quei cantanti che non fanno differenza tra Mozart e Leoncavallo, anzi preferiscono il secondo per far crollare il lampadario con gli acuti".
(Ennio Flaiano, 1949)

"Se la scenografia del film è deliberatamente semplice e primitiva, così lo sono le caratterizzazioni. Come diversi critici hanno sottolineato, Welles somiglia più ad Attila che a un cortigiano (benché il suo costume di battaglia, nelle ultime scene lo renda, in modo imbarazzante, simile alla statua della libertà), ed egli attraversa l'intero film con un'espressione impazzita, da sonnambulo.
Questa espressione è resa possibile dal fatto che Welles ha tolto consistenti passaggi dalle scene iniziali di Shakespeare, scene in cui Macbeth si mostra come un fedele soldato le cui ambizioni prendono gradualmente il possesso dei suoi istinti migliori. In conseguenza dei tagli, Lady Macbeth appare nel film prima di quanto accada nel dramma, ed abbiamo una sensazione estremamente ridotta della sua influenza malevola, psicologicamente interessata, sul marito. Il film ci mostra semplicemente la coppia di diabolici cospiratori e si tuffa nella barbarie omicida.
Macbeth e la moglie si abbracciano al suo ritorno dalla battaglia nella prima parte del film; egli l'ha informata della profezia delle streghe, e il loro accordo è già sigillato da un bacio. (Dietro di loro un impiccato penzola da una forca).
Le scene d'apertura a Inverness, tutt'altro che dignitose, sono un montaggio eisensteiniano che fonde il benvenuto al re, una cerimonia religiosa di tipo medievale ed esecuzioni barbariche. Su tale sfondo, l'intenzione omicida di Macbeth appare quasi ordinaria".
(James Naremore, 1978)

"La versione originale di Macbeth è lunga 107 minuti. Appena prima della distribuzione del film, Welles decise di ridoppiare i dialoghi senza l'accento scozzese della prima versione e di tagliare il film di circa due rulli.
Durante la lavorazione della nuova edizione del film - che venne fatta in Italia durante le riprese di Black Magic (Cagliostro, 1947 di Gregory Ratoff), Welles eliminò una lunga ouverture musicale ed aggiunse una narrazione fuori campo all'inizio del film, per aiutare lo spettatore ad entrare nella storia. Naturalmente cambiò anche molto del montaggio interno al film.
Una delle scene che eliminò fu un lungo piano sequenza di dieci minuti (che mostrava ciò che era accaduto prima, durante e dopo l'assassinio di Duncan) che sarebbe stata la prima ripresa del genere mai inserita in un film fatto a Hollywood, un anno prima che Hitchcock realizzasse Rope. (Welles aveva già realizzato un piano sequenza di dieci minuti per The Magnificent Ambersons, la sequenza del ballo, che era interrotta da un taglio di montaggio nella versione poi distribuita).
(Jonathan Rosenbaum)

"Tra gli adattamenti shakespeariani di Orson Welles, il Macbeth ha un ruolo centrale: si tratta del dramma di cui si contano il maggior numero di messe in scena. In totale sono sei. Al Voodoo Macbeth per il Federal Theatre (1936) seguono una regia radiofonica (1937), il libro The Mercury Theatre accompagnato da un riadattamento discografico (1939), quindi la versione teatrale di Salt Lake City e il film (1947).
Questa tragedia, pertanto, è quella che meglio si presta ad una ricerca dei temi e dei modi shakespeariani di Welles. Non solo la versione cinematografica possiede moltissimi elementi ricorrenti anche nei lavori precedenti, ma più in generale si può affermare che la concezione estetica alla base dei sei adattamenti è la medesima e che essa si rivela appieno solo attraverso un'analisi comparata dei diversi Macbeth realizzati dal regista per i vari media.
Un contributo fondamentale a questo tipo di lettura è offerto da una raccolta di materiali eterogenei, quali sceneggiature, disegni di scena, scritti, fotografie, che documentano il lavoro svolto da Welles nelle varie produzioni del Macbeth . Tra essi spicca, per l'importanza e la ricchezza delle informazioni che ci fornisce, un breve filmato realizzato nel 1936 per documentare il celebre Voodoo Macbeth, ambientato ad Haiti e interpretato da attori di colore.
Si tratta di un recentissimo ritrovamento, avvenuto alla Lilly Library di Bloomington (Indiana) all'interno della collezione di Jennings sul WPA.
Esso contiene le ultime scene della tregedia, a partire dalla conquista del castello di Macbeth da parte di Macduff. La proiezione di questo prezioso documento sulla prima messa in scena teatrale dell'allora ventunenne Orson Welles, non solo costituisce un'assoluta anteprima per una rassegna sul regista, ma rivela un'impostazione estetica che si ritroverà in ogni futuro adattamento del Macbeth , e più in generale in tutta la sua opera.
La versione originale durava 107' e sottolineava con forza il carattere fortemente antinaturalista della concezione wellesiana del dramma attraverso uninsolito accento scozzese impiegato nella recitazione dei versi di Shakespeare. Dopo una disastrosa anteprima nel 1948 si decise di eliminare l'accento e rimontare il film. Il lavoro durò circa un anno e fu condotto da Richard Wilson, stretto collaboratore di Welles, che seguì le indicazioni inviategli via via dal regista che in quel periodo risiedeva a Londra
. Da quel momento il film circolò nella versione ridotta di 86' e recitata senza il contestato accento. Nel 1980 Bob Gitt, responsabile dell'UCLA Film and Television Archive, restaurò il Macbeth nella versione di 107', ripristinandone colonna sonora e montaggio originali. In questa prima versione ricostruita con grande cura da Gitt, si possono apprezzare appieno sia la straordinaria efficacia della colonna sonora voluta da Welles, tesa a rinforzare la recitazione dei personaggi, sia l'originalità del montaggio e in particolare l'impiego di un lungo piano sequenza della durata di un intero rullo.
Viene così restituita al film tutta la sua carica poetica e il suo autentico tenore onirico.
(Gherardo Casale, 1992)


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