"Stanno
giocando a un gioco
Stanno giocando a non giocare a un gioco
Se mostro loro che li vedo giocare, infrangerò le regole e mi
puniranno
Devo giocare al loro gioco, di non vedere che vedo il gioco"
Nodi. Nodi del linguaggio,
nodi nelle relazioni, nodi... cosi come poeticamente li aveva descritti
Laing nel 1974.
L'apparente calma, lenta atmosfera del film di Nina di Majo, è
la terribile descrizione di un labirinto.
Un ingarbuglio di percorsi, di sentimenti, di contro-sentimenti, di
ricordi di sogni, di pulsioni, di vie di fuga scambiate per sentieri
d'attacco.
Apparentemente problemi di coppia, ma se si scava (lasciandosi "guardare"
il film) emergono brandelli di "anima". Scorci di anima che
gridano, silenziosamente, per farsi vedere, perché ci si accorga
di loro.
In maniera violenta, come la violenza di un'apparente indifferenza,
la violenza del silenzio o delle "milleparole-nessunaparola".
Non a caso i 4 protagonisti sono "implicati" nell'arte, nel
farla o venderla, nell'arte (come il cinema del resto) dove si descrive,
si dipinge o si scolpisce, si dà corpo al vagare nel labirinto.
Questo è il film,
e non è poco. L'autrice, nelle sue note di regia, parla di estraneità,
di spaesamento e del perturbare che ne segue. L'anima che vaga, sbattendo
a destra e a sinistra nel suo vagare, facendo male e facendosi male.
E le "trame" del tessuto continuano ad annodarsi. Un piccolo
gioco al massacro nel quale bisogna far vedere di non aver visto il
gioco.
...ingarbugli dell'anima.